Tempo di ripartire: L’operazione Sophia e la complicata politica libica dell’Italia

Un nuovo mandato per l'Operazione Sophia potrebbe essere opportuno per il governo italiano, ma molto dipenderà da quello che faranno gli attori principali in Libia.

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Non c’è da stupirsi che gli attori esterni coinvolti nella crisi libica stiano già fallendo a implementare l’accordo firmato a Berlino il mese scorso. La dichiarazione finale della conferenza prevedeva il rispetto dell’embargo delle Nazioni Unite sulle armi in Libia e il sostegno al consolidamento della tregua. Ma l’UNSMIL, la missione dell’ONU in Libia, ha già denunciato violazioni dell’embargo, con nuove armi che entrano nel Paese dilaniato dalla guerra.

In risposta all’accordo di Berlino, Russia e Turchia hanno prontamente proposto una forza di intervento che li avrebbe aiutati entrambi a consolidare le loro posizioni in Libia (ciascuno è schierato dietro i principali antagonisti libici nel conflitto, rispettivamente il feldmaresciallo Khalifa Haftar e il leader del governo di Accordo Nazionale, Fayez al-Serraj). Nonostante ciò, anche in risposta all’accordo di Berlino, Ursula von der Leyen e l’Alto rappresentante Josep Borrell hanno pubblicato una dichiarazione congiunta avanzando la loro proposta di un controllo permanente “da realizzare sotto l’egida dell’ONU”. La preferenza apparente dell’UE è per un meccanismo di sorveglianza più flessibile, che minimizzi il rischio di scontri militari. Con questo obiettivo in mente, e data la mancanza delle condizioni militari e politiche per una missione multilaterale di pace sul campo in Libia, l’UE ha iniziato a guardare all’Operazione Sophia per trovare una soluzione. Così, in una riunione straordinaria sulla Libia del Comitato politico e di sicurezza, tenutasi poco dopo il vertice di Berlino, Borrell ha proposto di riorientare la missione Sophia sul controllo dell’embargo sulle armi imposto dall’ONU al paese.

La missione EU NAVFOR MED (“Sophia”) è stata lanciata nel 2015 per combattere i traffici illeciti nel Mediterraneo. Da allora, e in seguito alla cosiddetta “crisi migratoria”, si stima che la missione abbia salvato circa 50.000 vite umane nel Mediterraneo. Tuttavia, lo scorso ottobre, l’UE ha scelto di non dispiegare più ufficialmente le navi di ricerca e salvataggio, sospese “temporaneamente” ad aprile dello scorso anno dopo che il governo italiano aveva minacciato di porre il veto all’intera missione. L’allora ministro degli Interni, Matteo Salvini, sosteneva che le navi di ricerca e salvataggio fossero un “pull factor” che incoraggiava i migranti a lasciare la Libia e ad attraversare il mare.

La soluzione di Borrell fa al caso del nuovo governo italiano, in quanto priva Salvini e il partito della Lega della possibilità di lanciare accuse sulla creazione di un nuovo “pull factor”. Il Comitato politico e di sicurezza ha accettato di fornire inizialmente una guida operativa per l’applicazione dell’embargo, alla quale seguirà una ristrutturazione formale del mandato della missione e il cambio di nome. Borrell ha offerto all’Italia un ruolo centrale nell’espansione delle capacità di Sophia, con il dispiegamento di satelliti e aerei italiani a supporto della missione.

Nell’ultimo periodo l’Italia ha avuto una politica libica incerta. La posizione attuale è quella di mantenere “l’equidistanza” da entrambi gli antagonisti della crisi libica, Haftar e Serraj. Tuttavia, questo non l’ha aiutata a raggiungere i propri obiettivi strategici come la gestione dei flussi migratori e l’accesso ai mercati dell’energia. L’Italia è stata tra i principali sostenitori della creazione della GNA nel 2015-16, ma quando ha iniziato ad avvertire la possibilità che Haftar potesse conquistare l’intero Paese, compromettendo gli interessi italiani soprattutto in Tripolitania e Fezzan, Roma è passata dal pieno sostegno per il GNA al tentativo di avvicinarsi ad Haftar. Nonostante ciò, questa strategia non ha fatto guadagnare il favore del feldmaresciallo. Quali garanzie può offrire Roma che il Cairo, Abu Dhabi o Mosca non gli stiano già dando? Nel tentativo di avvicinarsi ad Haftar, il governo italiano ha perso l’influenza che aveva in precedenza sul GNA, che a sua volta ha iniziato a cercare sostegno e protezione nella Turchia di Erdogan. L'”equidistanza” ha di fatto ridotto le possibilità di mediatore nel conflitto.

La prospettiva di una risoluzione della crisi da parte della Russia, che avrebbe necessariamente coinvolto anche la Turchia e che difficilmente avrebbe incontrato gli interessi europei e italiani, è stata ritenuta particolarmente preoccupante a Roma. Per queste ragioni, l’Italia ha sostenuto volentieri i tedeschi quando lo scorso anno hanno accettato di prendere l’iniziativa per risolvere la crisi. Roma si è posizionata come junior partner di Berlino, anche per rispondere all’attivismo storico francese nella crisi libica. L’Italia ha anche chiesto agli Stati Uniti di impegnarsi nuovamente in Libia, per garantire il cessate il fuoco e ritornare ad avere un rinnovato ruolo primario. Roma vorrebbe ricreare la partnership con gli Stati Uniti che ha permesso la creazione della GNA nel 2015-2016 e in cui l’Italia ha svolto un ruolo importante grazie a una sorta di delega politica che l’amministrazione Obama le aveva dato.

Nonostante l’accordo di Berlino, le tensioni tra le due grandi parti continuano. La settimana scorsa Emmanuel Macron, che favorisce Haftar, ha accusato il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, di aver violato l’embargo e infranto la promessa di restare fuori dalla Libia dopo che navi da guerra turche, accompagnate da mercenari siriani, sono state avvistate muoversi verso il paese. L’Italia, a sua volta, è ora preoccupata che la nuova Operazione Sophia possa favorire Haftar e penalizzare il GNA causando costanti denunce contro la Turchia nel caso la componente di monitoraggio avesse luogo solo via mare come attualmente previsto. L’Italia teme infatti che l’Operazione Sophia possa spianare la strada a Emirati Arabi Uniti ed Egitto, che forniscono armi ad Haftar sia via terra che via mare.

Il governo italiano ha accolto con moderata positività la dichiarazione finale del vertice di Berlino sulla Libia, in larga misura perché ha contribuito a riposizionare l’Europa al centro della gestione della crisi. Tuttavia, le conseguenze della conferenza hanno dimostrato che gli Stati esterni coinvolti non credono che l’UE sia pronta a prendere l’iniziativa. In effetti, questi attori stanno continuando a sostenere le due parti del conflitto. Se l’UE cambierà formalmente il mandato dell’Operazione Sophia potrebbe condizionare il corso degli eventi, ma sembra improbabile che i singoli Stati membri dell’UE concordino un mandato che non sia favorevole ai propri interessi. Questo vale per l’Italia tanto quanto, se non di più, per qualsiasi altro Stato membro. Il governo italiano continua ad affrontare la questione dell’immigrazione, che rimane alta tra le preoccupazioni politiche interne, e guarderà con apprensione a un eventuale rinnovamento di Sophia che a suo avviso porta con sé implicazioni geopolitiche negative.

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