Stati Uniti e Cina sono nemici sempre più simili

Dopo anni di simbiosi economica che hanno visto gli Stati Uniti importare a basso costo e la Cina comprare titoli del tesoro statunitensi, ora, quest’ultima, sembra esser decisa a perseguire le prerogative di una superpotenza. Dal canto loro, gli Stati Uniti, non hanno risposto tanto diversamente. Ne risulta che, entrambi i paesi stanno diventando sempre più simili, particolarmente nella loro convinzione che in tale competizione vi possa essere un’unica superpotenza vincitrice.

Anche disponibile in

Dopo anni di simbiosi economica che hanno visto gli Stati Uniti importare a basso costo e la Cina comprare titoli del tesoro statunitensi, ora, quest’ultima, sembra esser decisa a perseguire le prerogative di una superpotenza. Dal canto loro, gli Stati Uniti, non hanno risposto tanto diversamente. Ne risulta che, entrambi i paesi stanno diventando sempre più simili, particolarmente nella loro convinzione che in tale competizione vi possa essere un’unica superpotenza vincitrice.

Per molto tempo si è parlato di come la competizione strategica emergente negli ultimi anni tra Stati Uniti e Cina avrebbe un giorno portato ad un confronto. Quel momento è arrivato: benvenuti alla guerra fredda 2.0.

La narrativa standard sviluppatasi intorno al conflitto sino-americano dipinge due sistemi distinti contrapposti tra loro. Per gli Stati Uniti, la Cina è una dittatura dei big-data che ha rinchiuso milioni di Uighurs in campi di concentramento, represso i cristiani, limitato i diritti civili e distrutto l’ambiente – il tutto costruendo un esercito e minacciando gli alleati regionali americani. Dal punto di vista di molti cinesi, gli Stati Uniti raffigurano l’intervenzionismo e l’imperialismo, e la guerra commerciale dell’amministrazione Trump è solamente il colpo d’inizio di un più ampia disputa economica, militare e ideologica.

Eppure, questo quadro ci porta ad una visione vecchia delle cose. Il nuovo confronto sino-americano non ha radici nelle differenze tra i due paesi ma bensì nelle loro crescenti similitudini. Cina e Stati Uniti rappresentavano lo yin e lo yang dell’economia globale, con l’America nel ruolo del consumatore e la Cina in quello del manifatturiere. Per anni, la Cina ha incanalato i surplus nell’acquisto di buoni del tesoro statunitensi, favorendo così la dissipazione americana e plasmando un accordo simbiotico che lo storico Niall Ferguson ha definito “Chimerica”.

Ma oggi Chimerica è qualcosa che appartiene al passato. Con la sua agenda politica del “Made in China 2015”, Xi Jinping sta portando il suo paese in cima alla catena globale del valore, nella speranza di diventare un leader nell’intelligenza artificiale e in altre tecnologie all’avanguardia. A tale scopo, la Cina ha limitato l’accesso delle compagnie occidentali ai suoi mercati, rendendolo subordinato al transfer di tecnologia e dei diritti di proprietà intellettuale ai “partner” domestici.

Mentre la Cina era impegnata a riorientare il proprio modello di sviluppo economico, contemporaneamente gli Stati Uniti hanno rimpiazzato l’approccio del lassez-faire con una strategia industriale tutta loro. Dietro alla guerra commerciale di Trump vi è il desiderio di riequilibrare il campo di gioco economico e “separare” gli Stati Uniti dalla Cina. Con entrambi i paesi fermi in una concorrenza a somma zero, il Team GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) e il Team BATX (Baidu, Alibaba, Tencent, Xiaomi) stanno scatenando una guerra di know-how tecnico e data access su scala mondiale.

Eppure, perseguendo l’obiettivo di far fuori l’avversario nelle stesse aree, le strategie di Stati Uniti e Cina stanno diventando sempre più simili. In riposta ai tentativi di Barack Obama per creare un blocco commerciale sul Pacifico per arginare la Cina, Xi lanciò la sua Belt and Road Initiative (BRI) che è ora soddisfatta da una iniziativa indo-pacifica sotto la guida americana di Trump.

I due paesi sono in un percorso simile anche militarmente. Benché la Cina abbia ancora dei recuperi da fare, la sua spesa totale sulla difesa è seconda solo a quella degli Stati Uniti: ha costruito e lanciato il suo primo portaerei e ha intenzione di lanciarne di nuovi; sta sviluppando e utilizzando sistemi di difesa anti-access/area-denial (A2/AD); e, inoltre, stabilendo la sua prima base militare oltremare a Djibouti, ha inviato il segnale di avere ambizioni globali e non solo meramente regionali.

Cina e Stati Uniti sono sempre più concordi a prediligere l’interventismo. Per la Cina questo rappresenta un netto abbandono della sua tradizionale difesa del non interventismo adottato quasi alla stregua di una dottrina religiosa. Ma il cambio di atteggiamento della Cina ha senso. Come mi spiegò brevemente Yan Xuetong dell’Università di Tsinghua in seguito all’invasione americana dell’Iraq, il sostegno di un paese all’intervento militare riflette la consapevolezza del proprio potere. Previde che dal momento in cui la Cina avrebbe costruito una propria potenza militare, sarebbe stata più aperta ad esercitare la propria influenza globalmente.

I cittadini cinesi come gli altri nel mondo si aspettano ora esattamente questo. Dopo aver evacuato centinaia di cittadini dalla Libia nel 2014, la Cina ha aumentato la sua partecipazione alle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite. E, in seguito ad una serie di attacchi in Pakistan, ha creato una forza speciale di sicurezza (sostenuta prevalentemente da contraenti privati) per proteggere gli interessi cinesi nella “nuova via della seta”, in linea con i progetti previsti dalla BRI.

Un’altra area di convergenza sino-americana riguarda il sistema multilaterale. Nel suo discorso di “responsible stakeholder”, il Vice Segretario di Stato degli Stati Uniti Robert Zoellick ha comunicato all’occidente che le istituzioni della governance globale debbano includere la Cina o altrimenti rischierebbero di essere rovesciate. Tuttavia, per i cinesi, il coinvolgimento internazionale non è mai stata un’alternativa. Quindi, piuttosto che diventare uno stakeholder responsabile nell’ordine guidato da Stati Uniti, la Cina sta sviluppando ciò che potrebbe essere descritto come un internazionalismo con caratteristiche cinesi.

Di conseguenza, la Cina ha sfruttato l’appartenenza a istituzioni dominate dall’occidente allo stesso tempo sfidandole e costruendo un proprio sistema parallelo. Tuttavia, come dimostra la struttura della BRI, l’immaginario dell’ordino mondiale cinese non è fondato sul multilateralismo ma bensì su relazioni bilaterali tra stati. Affrontando i governi singolarmente, la Cina può negoziare da una posizione di forza e imporre le proprie condizioni.

La dottrina “America First” di Trump incarna la stessa visione per gli Stati Uniti. Sia Trump sia Xi hanno adottato un messaggio di rinnovamento nazionale. Questo ha portato Xi a sostituire la tradizionale politica estera della Cina fondata sulla moderazione e la cooperazione tattica, con una strategia fondata sul perseguimento della grandezza nazionale. Entrambi i leader hanno in misura crescente concentrato le decisioni di politica estera nelle proprie mani, andando a destabilizzare l’equilibrio dei sistemi di governance di altri paesi.

Malgrado la “guerra 2.0” non sia caratterizzata dallo scontro di ideologie utopiche che caratterizzarono l’originale, la metafora è senza dubbio adeguata. Come la precedente, questa guerra vedrà scontrarsi due superpotenze in disaccordo su come il mondo debba essere organizzato ma d’accordo sul fatto che vi possa essere un solo vincitore.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.