Yemen: il conflitto continua

Non c'è tregua in Yemen ma l'Europa può ancora intervenire

A causa del posticipo dell’ultimo minuto delle trattative di Ginevra mediate dalle Nazioni Unite, sembra che il conflitto in Yemen continuerà a lungo. Due mesi dopo l’avvio dell’operazione “Decisive Storm” guidata dai sauditi, e un mese dopo l’inizio della successiva operazione “Restoring Hope” le forze alleate di Ali Abdullah Saleh e degli Houthi rimangono imbattute. Infatti, dall’inizio dell’operazione, hanno continuato a guadagnare terreno nonostante la resistenza nel sud del paese, particolarmente nella provincia di al-Dhale, dove il 25 maggio i combattenti anti-Houthi hanno preso possesso di una base militare chiave. Contemporaneamente, le basi tradizionalmente a sostegno degli Houthi nel nordovest dello Yemen e nella capitale Sanaa, rimangono sotto loro controllo mentre i fronti dove si combatte sono il porto meridionale di Aden, le pronvince di Lahj e Abyan, le province tribali di Shabwa e Marib e Taiz, la terza città più grande nello Yemen.

Le forze d’opposizione

L’opposizione agli Houthi è profondamente divisa. Nonostante nelle dichiarazioni della coalizione ci sia un continuo sostegno alla legittimità del presidente Abd-Rabbu, la gran maggioranza delle fazioni armate sono ambivalenti verso il presidente. Combattenti nel sud del paese, che si proclamano “Southern Resistance”, combattono sotto la bandiera del precedentemente indipendente sud, rifiutando l’unità dello Yemen e chiedendo esplicitamente una secessione. In altre parti del paese, specialmente a Taiz, l’opposizione è in grande parte guidata da figure leali al partito sunnita islamico Islah (affiliato ai Fratelli Mussulmani yemeniti). Tuttavia, questo ha causato tensioni poiché molti dei combattenti nel sud hanno ribadito di vedere Islah e gli Houthi come due facce della stessa moneta di dominazione nordica. Nonostante i legami generali con la coalizione guidata dai sauditi, ci sono pochi segni di significativo coordinamento fra le varie fazioni anti-Houthi. Anche combattenti del “popular committee” nella stessa area regionale spesso agiscono indipendentemente l’uno dall’altro.

Queste divisioni sono state esacerbate da altre tensioni: quelle fra gli esiliati yemeniti in Arabia Saudita e i combattenti sul terreno. Contatti di alto livello all’interno della Southern Resistance hanno espresso una crescente frustrazione verso la percepita predilezione saudita per gli esponenti di Islah e per quello che credono sia una mancanza di sostegno saudita, soprattutto mentre gli Houthi e gli alleati di Saleh sono riusciti a consolidare il controllo ad Aden nonostante la campagna militare saudita.  Le tensioni sono inoltre aumentate a causa delle differenti sorti del “governo esiliato”, i cui membri stanno al momento vivendo in relativo lusso in Arabia Saudita, mentre i combattenti sono sul territorio.

Nonostante ci siano stati segnali di debolezza sia da parte degli Houthi, il cui attacco nella parte sud del paese è stato vanificato, soprattutto vista la resistenza nelle province di Shabwa e al-Dhale, che da parte dagli alleati di Saleh, alcuni dei quali si sono spostati a Riyadh, ci sono pochi segnali di una sconfitta imminente. Inoltre, le due parti continuano a coordinarsi sul campo di battaglia. Saleh, dopo un’incursione aerea sul suo compound, ha apertamente riconosciuto la proprio lealtà agli Houthi e ha incitato i suoi seguaci a combattere i sauditi. Di rilievo, anche contatti vicini a membri del partito Saleh che hanno viaggiato a Riyadh e che hanno apparentemente fornito sostegno a Hadi, ritengono che il loro obiettivo sia negoziare una riconciliazione fra sauditi e Saleh, tentativi finora falliti.

Regionalizzazione del conflitto

La regionalizzazione del conflitto continua. Il governo iraniano ha posto l’attenzione sul conflitto per criticare i propri rivali sauditi, i quali lo presentano invece come una legittimazione delle proprie percezioni della minaccia posta dall’Iran nella regione. Nonostante questo, da entrambe le parti l’abilità di controllo degli alleati è limitata e in particolare, nel lungo termine, è plausibile che diventi ancora più tenue. L’annuncio del dispiegamento di 2.100 truppe senegalesi, apparentemente chiamate a difendere i luoghi sacri nell’Arabia Saudita per permettere alle forze saudite di combattere in Yemen, sembra confermare le voci di una frustrazione saudita nei confronti degli alleati storici, in particolare Egitto e Pakistan, i quali non hanno ancora inviato truppe (e che nel caso del Pakistan hanno escluso operazioni offensive in Yemen). Detto questo, la forte attenzione posta su questo dispiegamento e sul dispiegamento ad Aden di un numero di truppe yemenite addestrate dal Gulf Cooperation Council, suggeriscono che qualche forma di incursione sul territorio sia ancora sul tavolo, in particolare considerando l’apparente crescere di truppe alleate con Hadi nella provincia di Marib.

Mentre l’offensiva saudita ha effettivamente fallito nel raggiungere un successo significativo, si è dimostrata incredibilmente popolare a livello nazionale. Inoltre, è stato un aumento di popolarità per Mohammed bin Salman. Questi fattori, oltre al pieno sostegno da parte di Hadi e di altri ufficiali esiliati per l’offensiva nella speranza che una vittoria li riportasse al potere, hanno assicurato che i sauditi fossero sotto scarsa pressione per porre fine al conflitto. In breve, nonostante da fuori possa sembrare che l’Arabia Saudita sia sotto forte pressione per terminare la guerra, da una prospettiva interna, è l’opposto.

Intanto, l’ultima incursione al confine degli Houthi, che ha colpito al centro del paese di confine di Najran, suggerisce un intento da parte degli Houthi di estendere il conflitto e simultaneamente indica che i ribelli mantengono un’abilità offensiva significativa. La risposta saudita di un attacco alla roccaforte di Saada sembra aver solo rafforzato la risolutezza Houthi.

L’attuale e sottile finestra di dialogo si sta chiudendo, sebbene gli Houthi continuino ad appoggiare una soluzione politica, fondata sulle loro condizioni di cessate il fuoco e sulla richiesta che le trattative avvengano in un paese neutrale. I negoziati sostenuti dai sauditi a Riyadh, aperti solo ai partiti che rifiutano Saleh e gli Houthi, non hanno avuto un impatto importante. Tuttavia, vi è una diffusa aspettativa che la coalizione e il governo di Riyadh utilizzeranno questi negoziati per legittimare una vociferata escalation del conflitto, guidata dalle milizie tribali anti-Houthi sostenute dai sauditi. Nonostante ci sia speranza per le annunciate, anche se rinviate, trattative mediate dalle Nazioni Unite, escludendo un’azione lampo, il conflitto appare destinato a durare. In particolare, molti di coloro che hanno annunciato che la questione si sarebbe risolta in settimane, ora esprimono preoccupazioni sulla probabile durata fino al prossimo anno. Al contempo, il tessuto sociale dello Yemen si sta sfaldando.

L’impatto in Yemen

Mentre il vuoto di potere è stato esacerbato, Al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) ha approfittato in modo radicale, prendendo controllo di Mukalla e di gran parte della provincia est di Hadramawt. Per la prima volta, AQAP si sta apertamente e attivamente radicalizzando e coordinando con le tribù yemenite; contatti in Shabwa sostengono che anche i leader rigidamente anti-AQAP hanno concordato una tregua con il gruppo. Questo suggerisce che la situazione ad Al-Bayd, dove soldati AQAP hanno apertamente combattuto ai lati di forze anti-Houthi, rischia di diventare la regola nel resto del paese.

All’interno del paese, la grave crisi umanitaria continua a peggiorare. Mentre i bombardamenti e i combattimenti hanno colpito anche civili, il blocco navale e aereo ha ulteriormente peggiorato la situazione. Il costo di prodotti base come cibo e carburante è aumentato drammaticamente, mentre il petrolio è diventato sempre più difficile da trovare. Intanto, gravi danni alle infrastrutture elettriche yemenite hanno messo gran parte del paese in una situazione di proteso blackout. I danni hanno già raggiunto un livello tale per cui l’infrastruttura yemenita è vicina al collasso: molti ospedali sono stati costretti a chiudere e le scuole sono ormai chiuse da due mesi. Nel frattempo, si è preso nota di strade strategiche di montagna danneggiate, mentre ponti chiave sono stati distrutti.

Vi è ancora un’opportunità per l’Europa d’intervenire e mediare in Yemen, in particolare rispetto all’aiuto e sostegno alle trattative mediate delle Nazioni Unite. L’UE rimane uno dei pochi attori ancora visti positivamente da fazioni chiave yemenite; il lungo coinvolgimento dell’UE con l’Arabia Saudita sulla cessazione delle ostilità, indipendentemente dall’ottenimento di immediati, è chiave. Inoltre, è importante sottolineare come il silenzio e la pubblica acquiescenza di fronte alla recente escalation, incluso il colpire aree civili, rischiano di essere interpretate da tutti gli schieramenti come un’autorizzazione e come un segnale di approvazione degli yemeniti colpiti sul territorio.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.