Tunisia – tra instabilità e rinnovamento

I numerosi scioperi e le elezioni in vista stanno contribuendo ad aumentare le tensioni politiche e sociali in Tunisia. Le divisioni socio-economiche che portarono alla Rivoluzione del 2011 continuano ad affliggere il paese e causano un crescente senso di malcontento tra la popolazione.

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I numerosi scioperi e le elezioni in vista stanno contribuendo ad aumentare le tensioni politiche e sociali in Tunisia. Le divisioni socio-economiche che portarono alla Rivoluzione del 2011 continuano ad affliggere il paese e causano un crescente senso di malcontento tra la popolazione.

Il 14 gennaio la Tunisia ha celebrato l’ottavo anniversario della Rivoluzione del Gelsomino. Pochi giorni dopo si è assistito ad uno sciopero generale di massa dei lavoratori del settore pubblico e delle aziende di proprietà statale, convocato dalla UGTT, l'Unione Generale Tunisina del Lavoro, ovvero il principale sindacato in Tunisia. La congiunzione di questi due eventi fornisce uno spaccato del modo in cui il paese sta cercando di barcamenarsi tra la competitività politica delle elezioni e una situazione economica più difficile per il popolo tunisino di quanto non lo fosse nel pre-2011.

L’UGTT ha organizzato lo sciopero per protestare, principalmente, contro il piano del governo di abbassare gli aumenti degli stipendi del settore pubblico nel budget di quest’anno. Il governo sta al contrario offrendo un lieve aumento da distribuire in due anni. Con un’inflazione in corsa verso il 7,5% il sindacato sostiene che tale offerta andrebbe effettivamente ad incidere negativamente sullo standard di vita dei suoi membri. L’UGTT ha dichiarato che la grande maggioranza dei suoi circa 700,000 membri ha smesso di lavorare lo scorso giovedì, conducendo gran parte della Tunisia ad uno stato di fermo. L’UGTT ha poi annunciato che a febbraio organizzerà un ulteriore sciopero di due giorni.

Lo sciopero rientra in un contesto di persistenti problemi economici che continuano ad affliggere la Tunisia. Sebbene la Rivoluzione del 2011 fosse in gran parte motivata da malcontenti socioeconomici, i governi che da allora hanno preso il potere si sono dimostrati incapaci di migliorare la situazione. La crescita è rimasta bassa, la disoccupazione alta: il 15 percento della popolazione è senza lavoro e la percentuale di laureati è sotto il 30 percento. La disuguaglianza tra le regioni costali più prospere e le zone interne povere del paese rimane impressionante. Circa la metà di tutti i lavoratori ha un impiego nell’economia informale. Molti giovani tunisini non hanno alcuna possibilità di comprare una casa o una macchina e non hanno la sicurezza necessaria per poter metter su una famiglia.

Al vertice di questi problemi, vi è il progressivo deterioramento della situazione macro-economica della Tunisia negli ultimi anni. Posta di fronte ad un debito e a deficit in aumento, e ad una contrazione delle riserve di valuta estera, nel 2016 la Tunisia ha accettato un prestito di 2,9 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale. Il FMI ha esortato la Tunisia a tagliare la spesa pubblica, ristrutturare il sistema di riscossione delle tasse per aumentare le entrate del governo, e permettere il deprezzamento della valuta. Il FMI dichiara di essersi dimostrato piuttosto flessibile nell’esigere il taglio della spesa pubblica ma ha ultimamente incrementato la sua pressione sulle autorità tunisine.

L’impiego nel settore pubblico è da sempre stato sfruttato in Tunisia per tamponare il malcontento economico, e dopo la Rivoluzione tale tendenza venne ulteriormente aumentata. Gli stipendi del settore pubblico ricoprono il 15 percento del PIL (nel 2010 ne ricoprivano il 10), per cui c’è poco da stupirsi se il governo stia ora cercando di limitare la spesa in quest’area. Eppure, lo sta facendo in un periodo in cui l’inflazione (peggiorata dalla deflazione del dinaro tunisino promossa dal FMI) e i tagli ai finanziamenti pubblici hanno già avuto un duro impatto sul potere di acquisto della popolazione.

L’UGTT occupa un posto insolito nella scena politica della Tunisia, presentandosi sia come unione sindacale sia come un movimento quasi politico. La sua importanza è stata rafforzata dal ruolo guida che ha svolto nella negoziazione di un compromesso tra le forze politiche islamiste e anti-islamiste in seguito ad un grave incremento della polarizzazione politica che nel 2013 ha rischiato di deragliare la transizione tunisina (un ruolo per il quale l’UGTT, e altri gruppi della società civile, videro attribuirsi il Premio Nobel per la Pace nel 2015). Quando lo scorso dicembre una delegazione ECFR  incontrò i leader dell’UGTT in Tunisia, questi parlarono apertamente della loro opposizione al governo di cui non condividono la visione politica. È un’anomalia della scena politica tunisina che la posizione anti-austerity dell’UGTT abbia una limitata rappresentazione tra i politici eletti: i gruppi politici più ampi (il partito islamista Ennahda e diverse diramazioni del partito secolare-modernista Nidaa Tounes) hanno appoggiato l’accordo con il FMI. Vi sono state delle ipotesi in merito alla possibilità che l’UGTT possa apertamente costruire una sua posizione politica con il lancio di una sinistra politica o tramite la candidatura di alcuni suoi esponenti alle prossime elezioni.

Alcuni leader politici criticano l’UGTT per aver esercitato il potere di veto su una politica pubblica che va oltre alle classiche questioni delle relazioni lavorative. Secondo tali politici, le richieste dell’UGTT sono marginali rispetto ai principali problemi economici della Tunisia. È sempre più diffusa l’opinione che la disoccupazione e la proliferazione di lavori in nero siano legati a dei preconcetti strutturali nell’economia che favoriscono sistematicamente un piccolo gruppo di aziende politicamente schierate. Tra le misure che potrebbero affrontare questo problema si possono citare un maggiore accesso al credito in favore degli aspiranti imprenditori, la modifica delle normative e delle pratiche vigenti nel settore pubblico e bancario che sono indirizzate ad una piccola élite e la riduzione della corruzione. Secondo i tunisini, a partire dalla rivoluzione, la corruzione non è stata ridotta ma solo “democratizzata”. Investire in infrastrutture in aree svantaggiate del paese potrebbe essere un altro fattore di spinta verso una crescita inclusiva.

Negli ultimi otto anni queste questioni sono state solo di rado affrontate dalla classe politica. E neppure ci si aspetta che venga raggiunto un progresso nei prossimi 12 mesi, in vista delle elezioni parlamentari e presidenziali entro la fine del 2019, a cui la Tunisia si sta preparando. Dopo le ultime elezioni del 2014, Ennahda e Nidaa Tounes hanno raggiunto un accordo che ha visto Ennahda diventare un partner junior nel governo guidato da Nidaa. Tale consenso ha generato una calma politica alle spese di riforme significanti: privo di qualsiasi forte opposizione, il fortunato duopolio si è posto come garante dello status quo.

Recentemente, tale accordo è crollato. Nidaa Tounes ha subito una forte frattura in seguito alle tensioni tra il presidente della Tunisia Beji Caid Essebsi (fondatore del partito) e il primo ministro Youssef Chahed. Tagliato fuori da Nidaa Tounes Chahed sta ora pensando di dar vita ad un suo proprio partito. Il continuo sostegno di Ennahda per la premiership di Chahed ha a sua volta portato ad un crollo del suo consenso all’interno di Nidaa Tounes e ad un aumento degli attacchi contro Ennahda da parte dei rimanenti leader di Nidaa Tounes. In questo contesto, Chahed potrebbe veder ridotta la sua forza politica di e il suo impegno nel far fronte alle richieste dell’UGTT o nel perseguire delle misure di riforma che potrebbero alienare dei legittimi influenti interessi.

Dalla rivoluzione, la priorità principale della vita politica in Tunisia è stata quella di cercare la stabilità necessaria a preservare e completare il periodo di transizione. Molto è stato fatto, benché alcuni passi importanti (specialmente la creazione di una Corte Costituzionale) rimangono ancora da percorrere. Tuttavia, la Tunisia ha ora raggiunto un punto in cui a minacciare maggiormente la sua stabilità non è più la rivalità religiosa ma piuttosto la mancata risposta alle aspirazioni economiche e sociali. Sino ad ora i partiti politici del paese non si sono organizzati per offrire delle visioni coerenti e distintive sul come lo sviluppo socioeconomico della Tunisia possa essere migliorato, e ne stanno pagando il prezzo tramite l’alienazione dall’intero sistema politico. Il vero test per la maturità politica della Tunisia sarà rappresentato dalla capacità dei partiti, alle elezioni di quest’anno e nei successivi anni, di unirsi al fine di darsi da fare per i compiti sino ad ora non svolti in tale direzione.

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