Territori inesplorati: La risposta dell’Italia al coronavirus

Con il trascorrere del tempo, la credibilità di molti governi è sotto pressione.

Anche disponibile in

Se la situazione a Milano può essere presa come esempio, la crisi del Coronavirus permette di cogliere le molteplici implicazioni che il problema avrà non solo in Italia ma soprattutto in Europa e, più in generale nel mondo occidentale. I dati del contagio della malattia nel Nord Italia sono molto preoccupanti e, se disposti su un grafico, raffigurano una linea con crescita esponenziale. Ogni giorno i malati crescono del 25% rispetto al giorno precedente. E questi numeri sono senz’altro inferiori al dato reale, poiché i tamponi per la rilevazione del virus vengono somministrati solo a persone sintomatiche o vicine a queste.

Se si paragonano i dati italiani a quelli di altri paesi europei come Germania o Francia, l’Italia appare 10/15 giorni avanti rispetto ai numeri di diffusione di questi paesi. Perciò osservare il caso italiano, validandone i risultati, fornisce indicazioni sulle possibili opzioni di gestione della crisi da replicarsi anche in altri paesi. Il 7 marzo, il governo ha adottato delle misure restrittive per gran parte del nord Italia, solo per espanderle su tutto il territorio il 9 marzo.

La risposta italiana rivela i comportamenti individuali, lo stile di vita, il senso civico e il rapporto con le autorità e le istituzioni. In Italia, così come in gran parte del mondo occidentale, i cittadini sono convinti che le cose andranno sempre per il meglio, che il peggio non li toccherà mai personalmente e che i profeti di sventura, le Cassandre della nostra epoca, siano soltanto dei paurosi o degli squilibrati. Cerchiamo in ogni modo di non vedere il pericolo, di minimizzarlo, di autoconvincerci che non esista. Questa abitudine prevale in particolare nelle nuove generazioni di europei che, forse solo per ondate di attacchi terroristici, non si sono mai sentite veramente in pericolo.

L’ottimismo naive rende difficile ai cittadini cambiare i propri stili di vita. Inoltre, viviamo in tempi di crisi di legittimità delle istituzioni democratiche e di sfiducia o diffidenza verso le classi dirigenti, non solo in Italia. La nascita di movimenti populisti ne sono la diretta conseguenza. Questa atmosfera indebolisce l’autorità del governo centrale anche in momenti di crisi come quello attuale.

Inoltre, diverse fasi (tra eccessivo allarmismo e campagne di prematuro ritorno alla normalità) si sono alternate sia nella comunicazione del governo sia in quella dei media. Ciò ha contribuito in larga misura a una sorta di spaesamento dell’opinione pubblica italiana. Le difficoltà dell’economia in ogni settore, e specialmente nel settore del commercio, dei servizi e del turismo, spingono chiaramente a prendere misure leggere che non influiscano su quelle attività e a minimizzare i rischi del virus.

Al contempo, però, le difficoltà del sistema sanitario – soprattutto nell’accogliere un numero così alto di persone nei reparti di rianimazione – spingono per misure più severe e forse tendono a enfatizzare la minaccia. Il risultato di questa situazione, forse anche di questa confusione, si è concretizzato in un decreto, quello del 7 marzo, che lascia spazio a interpretazioni contraddittorie. Senza contare il fatto che sia stato ampiamente divulgato prima della sua stessa entrata in vigore, scatenando una serie di reazioni nella popolazione fra cui il precipitoso ritorno al meridione di molti cittadini del sud residenti nelle zone indicate come nuove zone rosse. Inoltre, si è innescato un pericoloso conflitto di comunicazione tra le regioni (che hanno la competenza sulla gestione della sanità) e il governo di Roma.

Alcuni governi occidentali sembrano aver appreso dalla situazione italiana che una comunicazione efficace sia importante. L’Italia è stata sostanzialmente messa in isolamento da molti altri paesi, che hanno negato l’ingresso ai cittadini italiani, con importanti ripercussioni economiche. I paesi a guida sovranista, come USA e UK, hanno invece scelto di mettere in sordina la comunicazione sul virus, fino all’eclatante caso del Presidente Trump che è arrivato persino a negare che il Covid-2019 rappresenti una minaccia. Certamente, scelte di questo tipo vengono prese per minimizzare le conseguenze economiche di una possibile crisi su scala globale, ma al contempo pongono anche importanti rischi nei confronti della propria popolazione.

Con il trascorrere del tempo e il repentino ampliarsi della crisi, molti governi si giocano la propria credibilità. Da una parte, la necessità di prendere decisioni in maniera rapida e centralizzata potrebbe favorire derive autoritarie in alcuni paesi. Dall’altra, potrebbe dimostrare l’incapacità di governo proprio dei partiti più populisti, manifestando come disinformation, alternative facts and “biting attacks at one’s enemies” possano essere controproducenti, soprattutto in una situazione delicata come quella che stiamo vivendo, in cui serietà dell’informazione, azione mirata e compostezza diventano imperativi.

Gli effetti economici nel lungo-periodo del coronavirus sono imprevedibili. La Cina può resistere alla crisi del Coronavirus uscendone solamente con una diminuzione della propria crescita, ma per alcuni paesi europei la diffusione del virus rischia di creare un nuovo vortice di recessioni: per intenderci, qualcosa di molto simile alla situazione della crisi economica del 2008. Di fronte a un simile scenario, l’Europa non può concedersi di innescare nuovi meccanismi di conflittualità interna che indebolirebbero ulteriormente il processo di integrazione e la creazione di una sovranità europea. Al contrario, il virus richiede un coordinamento europeo delle misure di contenimento e uno scambio costante di best practises. La riunione straordinaria dei 27 capi di stato EU in conference call di domani è un buon segnale di impegno congiunto. Una delle maggiori conquiste dell’Europa, quello della libertà di circolazione di persone e merci, ma più in generale la nostra concezione di “società aperta”, può essere seriamente messa a rischio da una gestione sbagliata delle misure anti-virus. 

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.