Scozia: il canarino nella miniera di carbone dell’indipendenza?

Mark Leonard, Direttore di ECFR, analizza la risonza del referendum in Scozia a livello globale.

La spinta indipendentista della Scozia è stata interpretata da molti come un ritorno ad una vecchia politica identitaria. Molte delle tendenze emerse con il referendum scozzese hanno a che fare più con la politica del futuro piuttosto che con quella del passato. 

I sondaggi dimostrano che il voto è ancora difficile da prevedere. C’è ancora una possibilità che il “NO” prevalga, cosa che spero vivamente per il bene degli scozzesi e del resto della Gran Bretagna.

Tuttavia, qualunque sia il risultato del voto, penso che dovremmo riconoscere che la campagna per il “SI” abbia contribuito a modellare l’agenda della politica scozzese. Inoltre, le forze che ha generato contribuiranno a cambiare anche la politica globale. Inoltre, le forze che ha generato contribuiranno a cambiare anche la politica globale.

Fino ad ora, le analisi si sono concentrate sulla possibile risonanza che il “SI” in Scozia potrebbe avere sulle minoranze in cerca di identità statale, come Catalogna, Fiandre, Taiwan, Quebec. In realtà, le tendenze politiche scozzesi stanno rimodellando anche molte nazioni che non affrontano smembramenti imminenti – dall’America allo Zambia.

Quattro sono le tendenze:

1. L’AUTOGOVERNO SURCLASSERÀ SEMPRE PIU’ L’ECONOMIA

La campagna unionista del “NO” ha messo in evidenza i benefici economici derivanti  dall’appartenenza all’Unione così come l’incertezza sul futuro della moneta scozzese e sulla membership della Scozia  all’Unione Europea e alla NATO. Nell’ultima settimana si è discusso molto dei pericoli che l’indipendenza comporterebbe per l’industria dei servizi finanziari scozzese (molte banche hanno espresso l’intenzione di ricollocare le proprie sedi principali a Londra). Il Tesoro Britannico ha stimato come, in termini di spesa pubblica, gli scozzesi ricevano tra il 14 e il16% pro-capite in più del resto dei cittadini del Regno Unito

Ad ogni modo, molti di questi argomenti perdono significato se comparati alle argomentazioni della campagna pro-indipendenza del “SI”, secondo cui la Scozia non vota per un Governo conservatore dal 1935 e, per più di metà dell’ultimo secolo, è stata governata dai Conservatori (alle ultime elezioni il Partito Conservatore di David Cameron ha ottenuto in Scozia solo 1 seggio su 59). Come sostenuto da Owen Jones su TheGuardian, “per la maggior parte degli scozzesi, vivere sotto un governo a guida conservatrice sembra assurdo, come essere forzati a vivere sotto un’ostile forza di occupazione straniera”. 

Questi sentimenti si stanno diffondendo su scala mondiale. Nonostante abbiano la possibilità di votare, le persone non si sentono ancora rappresentate. Con le elezioni europee, i partiti populisti, dal Front National in Francia a Syriza in Grecia, hanno sostenuto come, nonostante i cittadini abbiano il potere di cambiare i governi, essi non siano in grado di cambiare le politiche che definiscono il loro mondo in senso più ampio. Tale sentimento si applica a tutti i Paesi che si sentono oppressi da forze globali incontrollabili, nonostante abbiano la possibilità di indire elezioni nazionali valide.

2. IL NAZIONALISMO ASSUMEREBBE SEMBIANZE SEMPRE PIU’  PROGRESSISTE.

Piuttosto che proclamare idee di estrema destra, i videodella campagna pro-indipendenza dipingono un’immagine del futuro scozzese come un’utopia socialista, una versione britannica della Svezia. Tali video contrappongono l’equità scozzese alla crescente ineguaglianza britannica; la spesa pubblica scozzese all’austerità britannica; le opportunità scozzesi alla tirannia dei privilegi inglesi; e l’internazionalismo scozzese alle “guerre illegali” della Gran Bretagna dell’ex Primo Ministro Tony Blair. Secondo la campagna per il “SI”, l’opzione affermativa nella scheda referendaria non implica soltanto che gli scozzesi saranno liberi dal Governo conservatore, ma che, così facendo, parteciperanno alla costruzione di un paradiso socialista a nord del paese.

La forza delle argomentazioni dei Nazionalisti sta nel fatto di essere alimentate soltanto in parte da istanze storiche e nostalgia di Braveheart (kilt, tartan e lingua gaelica). Questa strategia è stata adottata anche da molti altri partiti nazionalisti in Europa che stanno cercando di reinventarsi per diventare più attrattivi. Secondo il sondaggista Peter Kellner, il successo di queste campagne consiste nell’essere l’espressione politica di quei trend economici evidenziati da Thomas Piketty nel suo best-seller “Capital”: opporsi alla vertiginosa crescita dell’ineguaglianza.

3. LE ÉLITE NON SONO PERSUASIVE COME UN TEMPO

All’inizio della campagna elettorale, in molti credevano che la campagna per il “NO” avrebbe tratto benefici del fatto che tutti i partiti tradizionali di Westminster e la maggior parte delle aziende britanniche fossero contrarie all’indipendenza. Invece di farsi guerra a vicenda, il Partito Laburista, i Democratici Liberali e il Partito Conservatore hanno lavorato insieme per contenere la spinta indipendentista e limitare le opzioni politiche disponibili per il Partito Nazionale Scozzese. Tra le iniziative di tale collaborazione, una dichiarazione congiunta su come la Scozia non avrebbe potuto adottare la sterlina come moneta nazionale e la decisione di cancellare, lo scorso mercoledì, la consueta interrogazione parlamentare al Primo Ministro per permettere a tutti e tre i partiti di dedicarsi alla campagna elettorale in Scozia.

Tuttavia, col procedere della campagna elettorale, è diventato palese come la campagna per il “SI” si sia alimentata opponendosi al consenso delle élite. I sostenitori del “SI” hanno affermato che il fronte del “NO” avrebbe illecitamente cospirato per diffondere paura e persuadere gli scozzesi.

Il leader del Partito Nazionale Scozzese, Alex Salmond, si è presentato come difensore degli scozzesi contro le élite britanniche. Le sue argomentazioni hanno avuto seguito in quanto molti scozzesi di successo hanno scelto Londra per intraprendere la propria carriera, permettendo così ai Nazionalisti di diventare i portavoce di coloro che invece erano rimasti esclusi.

Le dinamiche della campagna elettorale scozzese sono molo simili a quelle di altre democrazie dove i partiti dell’establishment si uniscono per difendere l’ordine stabilito dalle forze politiche in rivolta che si proclamano tribune popolari in contrapposizione all’arroccamento delle élite.

4. L'IDEA DI “ONE NATION” NON ESISTE PIÙ

Qualunque sia il responso del referendum, la Scozia è già de facto indipendente. Colpisce il fatto che nessuno dei leader inglesi dei partiti tradizionali di Westminster sia stato considerato voce legittima nel dibattito in Scozia, e che le argomentazioni più robuste a favore dell’unione siano venute da politici scozzesi.

Ciò non sorprende se si considera come gli scozzesi per molti anni abbiano utilizzato media diversi rispetto al resto del Regno Unito e come le loro argomentazioni politiche siano sempre state differenti rispetto a quelle del resto della Gran Bretagna.

Per molti aspetti la secessione culturale e intellettuale della Scozia dal Regno Unito è già in corso da anni. Essa ricorda quella tendenza descritta in “The Big Sort”, secondo cui persone di molte democrazie consolidate si uniscono in gruppi simili che vivono, lavorano e pregano insieme mentre utilizzano mezzi di comunicazione che rinforzano i loro pregiudizi e le loro preferenze.

Condivido a pieno la criticaalla causa indipendentista di John Lloyd, ma sono consapevole di vivere in un paese che potrebbe non esistere più. Anche se il Regno Unito è una delle poche democrazie funzionanti al mondo, la sua tradizione centenaria del “better together” potrebbe valere molto poco quando gli elettori andranno alle urne.

Qualunque sia il risultato del voto, temo che, in tutto il mondo, le persone che un tempo celebravano i propri legami, sogneranno sempre più l’indipendenza.

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