Quasi alleato: il nuovo approccio dell’Italia alle relazioni con l’Azerbaigian e il conflitto in Nagorno-Karabakh

I recenti accordi siglati tra Italia e Azerbaigian, certamente rilevanti da un punto di vista economico, assumono una più profonda valenza politica, soprattutto rispetto al nodo del Nagorno-Karabakh

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Un “salto di qualità” nelle relazioni bilaterali tra Roma e Baku: questa la formula che è più spesso stata utilizzata per rappresentare la portata della recente visita di stato del Presidente Ilham Aliyev in Italia, senza precedenti nelle relazioni internazionali dell’Azerbaigian.

Difficile, peraltro, sottovalutare l’impatto sulle relazioni italo-azerbaigiane dei numerosi accordi siglati nel corso della visita. Difficile, allo stesso modo, non cogliere il deciso investimento politico effettuato da Baku nelle relazioni con l'Italia, testimoniato dall'ampiezza e dall'elevato profilo istituzionale della delegazione che ha accompagnato Aliyev e dato vita al Business Forum ospitato dalla Farnesina. Un investimento, questo, accolto con apparente entusiasmo dai rappresentanti del mondo imprenditoriale italiano e convintamente reciprocato dal Governo, che ha rivendicato l'approfondimento delle relazioni bilaterali come “precisa scelta politica”, frutto di un processo di avvicinamento nel quale ripone “ampissime aspettative”.

Gran parte della stampa nazionale ed estera si è concentrata sulla dimensione economica delle intese che, coerentemente con l'idea di rafforzamento del “partenariato strategico multidimensionale” – richiamando in ciò la lettera della dichiarazione congiunta siglata da Aliyev e dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte – è andata per la prima volta ben oltre il comparto energetico, abbracciando settori strategici come quello della difesa, delle infrastrutture o degli investimenti. Per la prima volta – e alla vigilia dell'inaugurazione di un gasdotto, il Trans-Adriatic Pipeline, che approfondirà l'interdipendenza tra Italia e Azerbaigian – si è data così forma concreta alla volontà di strutturare un partenariato “reciprocamente vantaggioso”: un partenariato che intercetti e generi convergenze di interessi tra la necessità di Baku di diversificare l'apparato economico-produttivo e quella, di Roma, di equilibrare una bilancia dei pagamenti chiaramente deficitaria.

la Dichiarazione segna il disallineamento dell’Italia dalle posizioni dei suoi partner nel Gruppo di Minsk e nella UE

Innegabile, dunque, la profonda significatività economica delle intese raggiunte e sottoscritte. Eppure, è probabilmente nella loro dimensione politica che va cercata l'essenza più profonda del salto di qualità di cui sopra. Quest'ultima è tutta nella lettera della dichiarazione congiunta, laddove sancisce il sostegno delle parti a una risoluzione pacifica del conflitto del Nagorno-Karabakh fondata sui principi della sovranità, integrità territoriale e inviolabilità dei confini internazionali – ovverosia i pilastri del diritto internazionale sui quali si basa la rivendicazione di sovranità azerbaigiana innanzi all'occupazione armena del proprio territorio. Ciò decreta una rilevante deviazione – se non il sostanziale abbandono – della politica di equidistanza tradizionalmente tenuta dall'Italia tra Azerbaigian e Armenia, senza che la portata politica della Dichiarazione sia scalfita dal richiamo ai principi fondamentali dell'Atto Finale di Helsinki. Politicamente significativo, d'altra parte, che in un pronunciamento italiano sulla spinosa questione del Karabakh per la prima volta non figuri un esplicito richiamo alla mediazione del Gruppo di Minsk dell'OSCE, meccanismo di cui l’Italia è parte e cui da un trentennio circa è demandata la mediazione tra le parti. Meccanismo la cui evidente inefficacia – e supposta non-imparzialità – è stata più volte denunciata dalla autorità azerbaigiane, anche nella prospettiva di incentivare nuovi e paralleli percorsi negoziali.

Significativa concessione al punto di vista azerbaigiano e alle accuse di double standard nell’approccio ai conflitti protratti nel vicinato orientale rivolte da Baku all’Occidente, la Dichiarazione segna il disallineamento dell’Italia dalle posizioni dei suoi partner nel Gruppo di Minsk e nella UE. Quest’ultima ha infatti visto deragliare nel 2014 un Accordo di Associazione con Baku anche – e, dal punto di vista azerbaigiano, soprattutto – per l'indisponibilità a sottoscrivere i principi oggi da essa affermati.. Principi tutt’ora al centro del complesso negoziato avviato nel febbraio 2017 per la definizione di un nuovo accordo di partenariato.

È dunque su un piano politico, prima ancora che economico, che l'Italia si posiziona oggi come principale interlocutore europeo dell'Azerbaigian – “quasi alleato”, citando Aliyev. Difficile, allo stato attuale, immaginare se il salto di qualità nelle relazioni bilaterali si tradurrà in un'effettiva iniziativa per il rilancio dei negoziati sul Karabakh – intenzione più volte affermata dalle più alte istituzioni nazionali – o se, al contrario, una più assertiva politica sub-caucasica si dimostrerà fuori dalla portata o dalle priorità d'azione di Roma. Resta il fatto che, nella prospettiva di rafforzamento del partenariato multidimensionale, “andare oltre l'energia” non è solo una necessità economica. È anzitutto un imperativo politico, un passaggio obbligato affinché l'Italia non finisca prigioniera di quella stessa “trappola della credibilità” che già inficia la politica regionale dell'UE. Dando un chiaro segnale di discontinuità con il passato e dimostrando la disponibilità a condividere il punto di vista di Baku sul principale dei nodi attorno ai quali ruota la sua politica estera, la Dichiarazione sembra andare nella giusta direzione.

Carlo Frappi è ricercatore presso l'Università Ca' Foscari di Venezia e Associate Research Fellow presso ISPI.

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