Perché il tour di Mike Pompeo in Asia Centrale interessa l’Italia?

La recente visita del Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, in Asia centrale ha confermato il peso geopolitico della strategia statunitense nella regione, mettendo l’Europa e gli Stati membri, Italia inclusa, in una posizione di stand-by.

Particolarmente significativi sono stati i toni utilizzati da Pompeo nel corso del suo incontro con l’intellighenzia kazakha (2 febbraio) dove, utilizzando l’importanza della difesa dei diritti umani nella regione, soprattutto in riferimento alla situazione della minoranza uigura nello Xinjiang, area nota alle cronache per la presenza di campi di internamento e rieducazione cinesi, ne ha approfittato per spostare il focus sulla Cina. Occasione servita a Pompeo per mettere in guardia i paesi centrasiatici, ma anche l’Europa, sulla necessità di prestare massima attenzione all’ingerenza cinese negli investimenti interni, in quanto rischio di erosione di una parte di sovranità. Tra le cause, il Partito Comunista Cinese, definito come “la minaccia centrale dei nostri tempi”.

D’altro canto Washington, fin dal termine della Guerra Fredda, ha considerato l’Asia Centrale come regione di primo piano nelle relazioni eurasiatiche tra i due blocchi. Varie sono le ragioni. In primis, la presenza della Shangai Cooperation Organisation (SCO) che, creata come evoluzione del dialogo “Shangai Five” di fine anni ’90, che servì a Russia e Cina per la gestione del confine sino-sovietico, si è posta come autentica comunità di sicurezza, con la successiva adesione di Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Uzbekistan, India e numerosi altri stati “osservatori”. Una comunità di sicurezza che, nata come risposta alle preoccupazioni di Pechino per le tensioni causate dall’estremismo uiguro nello Xinjiang, e alla volontà di Mosca di calmierare le non poche insicurezze geopolitiche provocate dalla disgregazione dell’URSS, si è successivamente evoluta assumendo, in tempi attuali, la capacità di fluidificare, con le connessioni terrestri, l’iniziativa cinese della “One-belt-one-road”. Si pensi inoltre all’importanza strategica di altri fattori come il Transit Center di Manas, vicino a Bishkek, capitale del Kyrgyzstan, servito come base militare americana durante la guerra in Afghanistan del 2001. Connessa a questa, l’importanza del Tajikistan confinante con lo stesso Afghanistan e dell’Uzbekistan, paese più popoloso della regione e, dunque, cruciale per gli equilibri geopolitici. Per finire con la Eurasian Costum Union, istituita nel 2010 dai cinque membri fondatori, Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Russia, con accordi di libero scambio stretti con altri paesi, tra cui la Cina. Tutte iniziative che spiegano l’importanza strategica della regione nella politica estera americana.

Ma perché il tour di Pompeo dovrebbe interessare Roma? In Italia,  il dossier centrasiatico è emerso solamente recentemente e si caratterizza per la sua natura più squisitamente economica che politica. Infatti, l’Asia centrale fa parte di una strategia di breve-medio periodo che ha visto l’Italia come protagonista europeo di una marcia di avvicinamento all’Asia centrale. Il sottosegretario agli esteri Manlio di Stefano ha inaugurato questa fase con la missione in Uzbekistan e Tagikistan (novembre 2018), proseguita alla volta del Turkmenistan (marzo 2019), per concludere con Kazakhstan e Kyrgyzstan (novembre 2019). Una serie di appuntamenti che hanno portato, il 13 dicembre scorso, alla Conferenza Italia Asia – Centrale, organizzata a Roma dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale insieme all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), e che ha visto la partecipazione di esponenti istituzionali, del mondo della finanza, delle imprese e della cultura.

L’Italia ha puntato tutto sul consolidamento del rapporto economico in paesi ricchi di risorse naturali con prospettive concrete per l’Italia e la sua tecnologia di sviluppo industriale (Turkmenistan), sul rafforzamento dei rapporti bilaterali e idee principali su temi internazionali (situazione in Afghanistan e prospettive di sviluppo regionale), possibilità di collaborazione economica e commerciale, con particolare riguardo ai settori dell’agroalimentare, del tessile, delle infrastrutture e delle energie rinnovabili (Uzbekistan e Tagikistan) e sullo sviluppo della connettività euro-asiatica, solidi rapporti di collaborazione sul piano energetico e degli investimenti (Kazakhstan e Kyrgyzstan). L’iniziativa italiana si colloca nella più ampia “New EU Strategy on Central Asia”, adottata dal Consiglio Europeo lo scorso giugno come espansione della “EU strategy for Central Asia” del 2007. Le tematiche affrontate nel documento sono legate allo sviluppo di cooperazione regionale tra UE e Asia Centrale, con il rafforzamento di democrazia, prosperità economica, stabilità e cooperazione regionale, e connettività.

La missione di Pompeo in Asia Centrale, avviene in un momento strategico molto importante, e cioè durante una presidenza americana, quella di Donald Trump, la cui dottrina isolazionista ha ricalibrato il “pivot to Asia” di Obama, senza però cancellarne l’interesse. Il messaggio politico di Washington è comunque chiaro: utilizzare i paesi centrasiatici come proxy per comunicare messaggi importanti a Russia, Cina ed UE. Una modalità di containment statunitense della Russia, ma soprattutto della Cina a livello regionale, e un richiamo alla concretezza per l’UE.  L’Italia, come spesso succede, si trova in una posizione intermedia nella sua strategia di politica estera e molto di ciò che accadrà dipenderà dalla capacità di rinsaldare i rapporti bilaterali costruiti in Asia Centrale, soprattutto in chiave di partenariato economico e commerciale. L’Italia si è mossa con anticipo rispetto agli altri paesi europei, e deve ora rinforzare l’iniziativa per evitare che gli Stati Uniti isolazionisti influenzino equilibri regionali eurasiatici di vitale importanza per l’Italia e per l’UE. 

 

Federico Solfrini è Associate Researcher di ECFR e dottorando di ricerca all'Università di St. Andrews, Scozia.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.