L’equilibrismo del sultano

Attore discreto al centro delle mutevoli dinamiche del Golfo, oggi il Sultanato è a un bivio e la sua neutralità acrobatica è messa sotto pressione.

 

l Ministro degli Esteri omanita Yousuf bin Alawi bin Abdullah si è recato negli Stati Uniti lo scorso luglio 2018 per incontrare il segretario alla Difesa James Mattis e discutere di cooperazione negli affari regionali. Dopo mesi di relativa freddezza da parte dell'amministrazione Trump, questo riavvicinamento ha fatto discutere gli osservatori sul ruolo dell'Oman come mediatore regionale e partner degli Usa. La successiva visita di bin Alawi a Teheran ha fatto parlare di una riapertura del canale diplomatico omanita tra Usa e Iran, come avvenne con Obama per i negoziati dell'accordo sul nucleare. Ma la posizione di Donald Trump sull'Iran suggerisce che Washington è poco interessata all’attività di mediazione dell'Oman e vorrebbe piuttosto spingere il Paese ad allinearsi alla sua retorica anti-Iran. Per il sultanato sarà sempre più difficile mantenere la sua storica neutralità.

Sin dall'ascesa al potere del Sultano Qaboos nel 1970, l'Oman ha adottato un modello di politica estera unico nel Golfo, basato sulla neutralità e sulla mediazione nei conflitti regionali. Gli europei, che al momento stanno cercando di salvare ciò che resta dell'accordo nucleare iraniano, sostenere gli sforzi di pace dell'Onu nello Yemen e placare le tensioni all'interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), hanno disperatamente bisogno di un partner neutrale in grado di mediare tra le potenze regionali. Uno sbilanciamento dell'Oman finirebbe per esacerbare la polarizzazione regionale, privando l'Europa di un alleato cruciale.

Sin dalla creazione del CCG nel 1981, l'Oman ha cercato di mantenere un certo distacco dalla geopolitica regionale e dalle ambizioni dei suoi vicini, assumendo una posizione neutrale rispetto alla maggior parte delle rivalità interne. Nel 2013, ad esempio, l’Oman si è opposto all’evoluzione del CCG in un'unione economica e politica, temendo che ciò comportasse un aumento della dipendenza dall'Arabia Saudita. Inoltre il Paese non ha aderito alla coalizione araba in Yemen e si è rifiutato di allinearsi alla posizione saudita ed emiratense nei confronti dell'Iran e del Qatar, mantenendo stretti legami diplomatici ed economici con entrambi i Paesi nonostante le pressioni esercitate dagli alleati del Golfo. Questo approccio ha permesso all’Oman di fare da tramite in diversi conflitti regionali, come la guerra tra Iran e Iraq negli anni ‘80, in Siria, in Libia e più recentemente nello Yemen. Sembra infatti che il sultanato abbia ospitato colloqui segreti tra gli Houthi e l'Arabia Saudita.

L'Oman ha inoltre instaurato un rapporto speciale con l'Iran: da quando Teheran ha aiutato il sultanato a schiacciare la rivoluzione di Dhofar negli anni '70, i due Paesi hanno sviluppato uno stretto legame politico ed economico. Nel 2014 hanno dato il via alle esercitazioni militari congiunte nello stretto di Hormuz e hanno firmato diversi accordi di cooperazione per lo sfruttamento del giacimento di gas di Henqam e la costruzione di un oleodotto comune. L'Oman è quindi diventato un naturale canale diplomatico tra Washington e Teheran, svolgendo un ruolo chiave nell'ospitare e mediare i negoziati segreti per l'accordo sul nucleare.

Se finora l'Oman era riuscito a mantenere questa linea neutrale, i recenti cambiamenti delle dinamiche regionali la rendono sempre più difficile da portare avanti. Le rapide trasformazioni all'interno della leadership saudita, sostenuta dall'amministrazione Trump, hanno spinto il regno saudita ad assumere una posizione più aggressiva nei confronti dell'Iran. Il giovane principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e il sovrano di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed, hanno stretto un'alleanza per manovrare le dinamiche del Golfo e condurre una politica estera più ardita. Nel frattempo la crisi del Qatar ha danneggiato il coordinamento del CCG e ha avvicinato il Qatar ad altre potenze, quali Iran e Turchia.

In questo contesto l'Oman ha faticato a mantenere l'equilibrio tra i suoi diversi partner, ritrovandosi sempre più isolato. Stando a una fuga di notizie pubblicata dal quotidiano libanese filo-Hezbollah Al Akhbar lo scorso luglio, gli Emirati Arabi Uniti (EAU) avrebbero minacciato il Sultanato dello stesso trattamento riservato al Qatar se avesse mantenuto la sua politica attuale. Dal canto loro, gli EAU negano la veridicità di questi documenti.

La crescente influenza degli EAU ai confini dell'Oman, che si tratti della penisola di Musandam o del versante yemenita, dove sono molto attivi nella regione di Mahra, è stata percepita dall'Oman come un tentativo di vassallizzare e accerchiare il Sultanato. A diversi anni di distanza dalla scoperta, avvenuta nel 2011, di una presunta rete di spionaggio emiratense in Oman, i due Paesi continuano a guardarsi con diffidenza.

L'Oman teme inoltre di cadere nell'orbita del Qatar o dell'Iran. Soprattutto il Qatar, in seguito alla crisi del CCG, ha intensificato le relazioni commerciali con l'Oman. Il blocco ha costretto il Qatar a riorientare alcune rotte marittime verso il porto omanita di Sohar e il volume degli scambi bilaterali tra i due paesi ha registrato un aumento del 200% in un anno. Tuttavia, l'Oman continua a diffidare delle ambizioni del Qatar nella regione e teme di antagonizzare i sauditi e gli emirati, due partner chiave del sultanato. Aderendo alla coalizione islamica contro il terrorismo a guida saudita nel dicembre 2016, l’Oman ha cercato di avvicinarsi all'Arabia Saudita senza assumere impegni concreti.

L'Oman è molto sensibile a queste pressioni esterne. Adesso che si trova ad affrontare notevoli difficoltà economiche a causa del calo dei prezzi del petrolio e dell'incertezza politica intorno alla successione del Sultano Qaboos, l’Oman fatica a mantenersi neutrale. Pur avendo spesso rifiutato investimenti e fondi di aiuto offerti da Paesi della regione per paura che ciò potesse minare la sua indipendenza, quest'anno l’Oman ha violato tale principio accettando denaro dall'Arabia Saudita e dal Qatar.

Se il Sultanato ha fatto uno strappo alla regola è perché spera di sfruttare al meglio la sua posizione strategica, aumentando così il proprio peso politico nella regione. La posizione dell'Oman sullo stretto di Hormuz, che controlla i due terzi del traffico petrolifero mondiale, rappresenta infatti un'importante risorsa economica. Inoltre, negli ultimi anni, con l'espansione della Chinese Belt and Road Initiative, l'Oceano Indiano è diventato un teatro di competizione tra Cina e India. In questo contesto attirare investimenti asiatici potrebbe essere un modo per l'Oman di diversificare i propri partner economici e accrescere la propria influenza nella regione. L'Oman è già riuscito ad attirare l'interesse delle due potenze asiatiche, ottenendo importanti investimenti dalla Cina per lo sviluppo del porto di Duqm, oltre a un progetto da 10,7 miliardi di dollari per la costruzione di una zona industriale cinese vicino al porto. Anche l'India si è mostrata interessata all'Oman e al suo porto di Duqm. Nel febbraio 2018, durante un viaggio nel sultanato, il primo ministro indiano Narendra Modi ha incoraggiato gli imprenditori indiani a investire in Oman e la Marina indiana ha ottenuto l’autorizzazione a utilizzare le strutture di Duqm.

Se da un lato questi investimenti offrono nuove prospettive, dall’altro c'è ancora molta strada da fare prima che i porti omaniti siano competitivi e attraenti, e l'economia del Paese rimane fragile. Finché al trono ci sarà Qaboos, un leader molto rispettato, la situazione dovrebbe rimanere stabile. Ma poiché la salute del sultano sta degenerando e non è stato designato un erede ufficiale, il passaggio di potere potrebbe rendere il sultanato molto più vulnerabile sia ai dissensi interni che alle pressioni esterne.

 

pubblicato su eastwest.eu il 1 settembre 2018 

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