Le elezioni europee di maggio rischiano di essere «un punto di svolta» per l’Unione europea. «Dipenderà dalla prossima legislatura», in termini di alleanze politiche e programmi, ma in ballo c’è molto e allora la campagna elettorale già iniziata diventerà cruciale per conquistare gli indecisi, a questo punto attori chiave nella lotta tra sovranisti ed europeisti. Questa l’analisi di Susi Dennison, direttrice del programma European Power del Consiglio europeo per le relazioni internazionali (European Council on Foreign Relations, Ecfr), il primo think-tank pan-europeo che dal 2007 promuove ricerca e dibattito sulle questione internazionali, incluse quelle comunitarie. Dennison è anche co-autrice del recente studio sulle elezioni europee.

Secondo le ultime stime, se le elezioni si tenessero oggi le forze anti-europee (Ecr, Enf, Efdd e parte dei non iscritti) guadagnerebbero circa 150 seggi. L’Europa può considerarsi salva?
«Non dobbiamo focalizzarci solo sull’estrema destra. Ci sono anche partiti non propriamente di destra, e penso a quello di Jean-Luc Mélenchon, la France Insoumise, che non sono europeisti al cento per cento. Quindi non bisogna fermarsi alle mere considerazioni sui gruppi citati, ma vedere che tipi di dinamiche si creeranno oltre queste forze. C’è il rischio che il prossimo Parlamento europeo possa subire una paralisi».

Veramente? Sarà davvero così?
«C’è il rischio di una potenziale paralisi. Le forze anti-europee sono molto eterogenee, ci sono divisioni significative tra di loro sulla sostanza. Ciò nonostante, se le forze anti-europee raggrupperanno un terzo dei seggi (235 parlamentari su 705 posti, ndr) avranno una minoranza di blocco. Significa che non potranno bloccare tutto, ma potranno bloccare decisioni su alcuni dossier importanti per i cittadini».

Che ripercussioni avrebbe tutto questo?
«Acquisteranno forza, perché mostrerebbero che sono capaci di produrre qualcosa di mai visto prima, di cambiare il funzionamento acquisito del Parlamento. Senza contare che indebolirebbero gli argomenti di quanti sostengono che alla prova dei fatti queste forze non sanno incidere. Potrebbero anche avere la forza di eleggere commissari europei anti-europeisti».

Come si contrastano i populisti?
«Bisogna identificare i temi su cui gli elettori si esprimeranno. Adesso per molti quello di maggio potrebbe essere un voto sull’immigrazione, e credo che i partiti tradizionalmente più europeisti dovrebbero appropriarsi di questo tema. Un altro elemento è il clima. C’è grande attenzione su questo tema».

Cosa dire però su un tema come l’immigrazione? Le opinioni pubbliche sembrano non volere soluzioni come quelle della Commissione europea, meccanismi di ripartizione per intenderci. Non si rischia di perdere se si insiste su questo?
«Indubbiamente quello dell’immigrazione è un tema sensibile, ma è stato permesso per troppo tempo alla destra di dire che gli immigrati rappresentano un problema. Il fenomeno è molto più di questo. Bisogna essere onesti quando si parla di immigrazione. Non tutti pensano che sia un problema. Bisogna ampliare il dibattito».

Giusta quindi la campagna anti-fake news della Commissione Ue sull’immigrazione?
«Assolutamente sì».

Lega e M5S, insieme, dovrebbero portare a Bruxelles circa 50 parlamentari. L’Italia è diventato un problema per il progetto europeo?
«C’è una forte voce anti-sistema in Italia, non c’è dubbio. La Lega è vista come il secondo partito a livello europeo dopo la Cdu di Angela Merkel, i 5 Stelle potrebbero essere il quarto partito. Non è dato sapere come queste due formazioni potranno lavorare insieme. E su quali dossier? Non hanno la stessa visione sull’Europa. Per Salvini le priorità sono immigrazione e sicurezza, il Movimento 5 Stelle offre un’altra immagine: la riforma delle regole economiche e il commercio».

Berlusconi è dell’idea che il Ppe dovrebbe allearsi con i conservatori dell’Ecr dopo le elezioni, e abbandonare le alleanze storiche con socialdemocratici e liberali. È uno scenario plausibile?
«Ci sono differenze all’interno del partito popolare. È difficile capire cosa farà il Ppe. Ma allo stesso tempo nella pratica ci sono già accordi con l’Ecr. Sull’immigrazione, per esempio, con il principio dei controlli alle frontiere (hard border, letteralmente)».

L’astensionismo fa davvero il gioco dei populisti?
«Solitamente, e lo vediamo con le elezioni nazionali, se le persone hanno un’opinione forte per cambiare vanno a votare. Lo abbiamo visto con il referendum sulla Brexit».

Sarà decisiva la partecipazione, dunque. Come convincere gli indecisi?
«Con la mobilitazione. Vanno mobilitate le forze pro-Europa, e vanno offerte le giuste opzioni».

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