La Politica Estera nell’epoca del virus

Sia l'identità nazionale che quella europea saranno essenziali per forgiare la politica estera dopo la crisi.

Immagine di Dmitry Djouce
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Assieme alla stagione del terrorismo, l’epidemia da coronavirus ha rappresentato la tragedia principale vissuta dall’Italia repubblicana, una tragedia superata solo grazie al coraggio del suo popolo, allo spirito di sacrificio e senso di disciplina che ha dimostrato, nonché alla resilienza delle sue istituzioni e della società civile, pur in circostanze difficilissime.

Non siamo in guerra. Siamo piuttosto entrati in un conflitto a bassa intensità contro un nemico radicato sul territorio in una maniera per noi difficile da decifrare e, allo stesso tempo, con un elevatissimo grado di mobilità, adattabilità e resistenza. Gli scenari di lungo temine post-Coronavirus sono molto incerti. Non avremo una ripresa a forma di V o di U, ma piuttosto a W o sinusoidale con progressi e ricadute, alti e bassi, momenti di grande ottimismo e scoramento.

Le regole e prassi imposte in questi mesi, tutte centrate obbligatoriamente sull’auto-isolamento (di fatto la criminalizzazione della socialità), hanno rimesso in discussione – a tutti i livelli, locale, nazionale, internazionale – il rapporto con l’”altro”, con il possibile “untore”, e i principi di solidarietà e cooperazione al di fuori del proprio nucleo familiare.

Una parte fondamentale del capitale sociale che definisce una comunità, inclusa quella internazionale, è stato compromesso. Il danno arrecato dal virus trascende la dimensione individuale o delle piccole comunità, ma si estende appunto a livello nazionale e internazionale e al capitale sociale e di fiducia reciproca che costituisce (o dovrebbe costituire) il fondamento principale dell’ordine internazionale.

Il COVID-19 è un virus di casta, a livello collettivo e individuale. L'impatto del virus e delle contromisure necessarie hanno effetti molto differenti a seconda della resilienza complessiva dei Paesi e della solidità della situazione economica collettiva e individuale. Di fatto esso è un acceleratore delle disuguaglianze e delle tensioni socio-economiche negli Stati e tra gli Stati.

Infine, il virus ha aperto una finestra sul futuro, obbligando a interrogarci sulla sostenibilità degli attuali modelli di crescita e sviluppo, nonché sulla ulteriore fragilizzazione del tessuto cooperativo che è alla base del sistema internazionale post-bellico e post-guerra fredda. E vanno in tal senso, il rafforzamento della retorica anti-globalizzazione e protezionista, l’accentuazione degli istinti auto-referenziali e autarchici, la rimessa in discussione dell’interdipendenza e delle catene di valore, il crescente fascino degli autoritarismi ai quali viene attribuito, a torto, maggiore efficienza e capacità decisionale.

Per queste e molte altre ragioni una riflessione sul tema del rapporto tra etica e politica estera non è più rinviabile.

La guerra delle narrative a cui stiamo assistendo in questi giorni e che dominerà i lunghi postumi della crisi del COVID ha una dimensione interna ed una esterna, intimamente legate tra loro. Ed è anche il riflesso di una visione etica o a-etica del futuro del mondo post-COVID.

Non è difficile immaginare che le forme estreme di nazionalismo e sovranismo che hanno invaso negli ultimi anni il discorso pubblico e la politica estera saranno ancora più forti e vocali nel mondo post-COVID. La volatilità del quadro politico, le tensioni socio-economiche, le emozioni, il senso di paura e insicurezza delle popolazioni, l’opportunismo di una parte delle elites rappresentano un terreno di coltura ideale.

La lezione per i nostri giorni è quella di comprendere che la guerra contro il nazional-sovranismo si combatte sullo stesso terreno di battaglia, quello identitario. É una guerra che si può vincere solo affermando una visione alternativa dell’identità nazionale radicata nella storia, nelle norme e istituzioni, nei processi democratici, nella consapevolezza del contributo che tutte le componenti della società danno a questa identità, nonché nella stessa geografia da cui dipendono i grandi flussi di idee, persone, merci, capitali che definiscono e ridefiniscono nel tempo una nazione8.

Non esiste una “nazione eterna” o uno “spirito che soffia perennemente” sui suoi territori. La nozione di un’identità nazionale perenne, spesso costruita in contrapposizione a un nemico, è nel migliore dei casi un riflesso romantico ottocentesco, nel peggiore uno dei miti fondanti su cui posano i regimi autoritari.

L’essenza della politica estera è data dal rapporto con l’altro. L’alleato. L’ostile. L’amico. Il nemico. Ed è anche attraverso l’interazione e l’interdipendenza con l’altro che si costruisce e modifica nel tempo l’identità nazionale. E una delle differenze fondamentali tra autoritarismi e democrazie è proprio nel radicamento storico e giuridico del processo di formazione dell’identità nazionale, che deve restare sottoposta a un processo continuo di verifica con il coinvolgimento di tutte le componenti della società.

“Pensavamo rimanere sempre sani in un mondo malato”.

Il richiamo di Papa Francesco è indirizzato anche ai decisori e attori di politica estera. É un invito, ancora più forte e attuale nell’epoca del coronavirus, a curare il mondo. É un monito a immaginare una politica estera diversa, il cui obiettivo non può pertanto essere il mondo come è, ma come dovrebbe essere. In definitiva è un richiamo alla necessità di quella che molti chiamano ormai la COVID-Catharsis: l’effetto catartico che la crisi potrebbe avere per rilanciare la governance globale e favorire la costruzione di un nuovo ordine internazionale su basi diverse, più eque, sostenibili, cooperative.

Ma la strada è molto più tortuosa.

All’inizio del nuovo millennio Roberto Toscano si interrogò sulla compatibilità tra etica e diplomazia stilando, con ampio anticipo rispetto ai tempi, un vero e proprio decalogo delle priorità di una politica estera improntata a criteri etici con al centro la pace: prevenzione dei conflitti, diritti umani, civilizzazione della globalizzazione, lotta alle diseguaglianze. E’, in definitiva, un richiamo ai principi dell’eguaglianza sostanziale in cui diritti politici e diritti socio-economici sono fortemente integrati, e ogni forma di trade-off tra sicurezza, democrazia, stato di diritto, diritto alla salute, al lavoro e all’educazione non è accettabile.

Possiamo provare ad aggiornare il “decalogo Toscano” per una politica estera “etica” nel mondo post-COVID. Il risultato è un’enfasi ancora maggiore sui temi del rafforzamento della resilienza socio-economica, della riduzione delle diseguaglianze, del sostegno alle aree più vulnerabili del pianeta e alle fasce più vulnerabili della popolazione mondiale, della sostenibilità e della lotta al cambiamento climatico.

Mi rendo conto di quanto questo sia contro-intuitivo rispetto a scenari in cui l’emergenza attuale e l’insicurezza diffusa che ne sta derivando potrebbero favorire gli istinti peggiori delle opinioni pubbliche e delle elites, rafforzando i sovranismi e illiberalismi di varia matrice e la pratica diffusa del trade-off tra sicurezza e democrazia e tra diritti politici e socio-economici, e favorendo infine un’interpretazione particolaristica e parrocchiale degli interessi nazionali.

Ma sono convinto che siamo di fronte a un passaggio decisivo, nel quale si confronteranno due visioni opposte del futuro e delle priorità della politica estera nel ridisegnarlo. Ciascuna di queste visioni rivendicherà un forte radicamento identitario. E, in questo conflitto, l’unica scelta di campo possibile per l’Italia (e per l’Unione Europea), è quella dell’affermazione della propria identità nazionale e europea e del tessuto di valori che sono parte integrante del nostro patrimonio storico e giuridico e della pratica della democrazia, nella quale la dignità della persona umana e i principi di solidarietà e eguaglianza sostanziale rivestono un rilievo fondamentale.

Armando Barucco è Capo dell'Unità di Analisi e Programmazione al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse nel testo appartengono esclusivamente all'autore, e non necessariamente riflettono la posizione ufficiale del Ministero.

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