La lenta morte dell’ambizione: la politica estera tedesca dopo le dimissioni di AKK

La grande coalizione continuerà a essere una sorta di governo custode in quanto manca di un’ampia visione in politica estera.

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Quando Annegret Kramp-Karrenbauer (AKK) ha annunciato le sue dimissioni da leader dell'Unione Cristiano-Democratica (CDU) il 10 febbraio, a Berlino le persone hanno iniziato a domandarsi se avrebbe significato la fine dell'impopolare “grande coalizione” del partito.

Tuttavia, ben presto è diventato chiaro che il proverbio tedesco Totgesagte leben länger (i morti vivono più a lungo) è vero. Infatti, il matrimonio forzato tra la CDU, il partito gemello bavarese Unione Cristiano-Sociale (CSU), e il Partito Socialdemocratico (SPD) è sopravvissuto a una votazione sull'accordo di coalizione tra i membri dell’SPD; a uno scontro esistenziale tra la cancelliera Angela Merkel e Horst Seehofer, ministro degli Interni e leader della CSU; e all'elezione a leader della SPD di due poco noti esponenti della sinistra che chiedevano l'immediata uscita dalla coalizione durante la campagna elettorale. Come ha recentemente osservato un membro del Bundestag, la coalizione è stata fin dal primo giorno in una situazione di emergenza.

Tuttavia, la grande coalizione è stata dichiarata morta così tante volte che si può essere quasi certi che i tre gruppi parlamentari vi rimarranno dentro fino alla fine. Sia la CDU che l’SPD hanno però un problema di leadership: entrambi non sanno chi potrebbero candidare in una corsa primaria alla cancelleria. Inoltre, il sostegno ai conservatori e ai socialdemocratici è al minimo storico, mentre i Verdi stanno cavalcando un'onda di successo. Dato il timore diffuso che l'Alternativa per la Germania (AfD) diventi più popolare e radicale, è comprensibile che entrambi i partiti vedano un'elezione a sorpresa come un suicidio politico.

Ciò ha implicazioni preoccupanti per la politica estera della Germania. Fin dall'inizio, la grande coalizione ha condotto principalmente una politica di partito, così guardandosi l’ombelico. C'è stata poca traccia dello spirito di risveglio che ha caratterizzato la politica estera tedesca degli anni successivi alla Conferenza di Monaco di Baviera del 2014. Al tempo, sembrava che la Germania avesse iniziato a sviluppare una nuova comprensione di se stessa, nonostante l’esitazione e ben al di sotto del proprio potenziale. Lentamente ma in modo definitivo, la Germania stava abbandonando il ruolo di “free rider” e “importatore netto” di sicurezza, aumentando il proprio impegno internazionale. Berlino sembrava finalmente disposta ad assumersi un livello di responsabilità per la pace mondiale e sicurezza internazionale proporzionato alla posizione della Germania come più grande e potente paese europeo.

Tuttavia, al momento della formazione della grande coalizione (se non prima), era evidente che questo processo di adeguamento in politica estera era finito. Negli ultimi anni, a prescindere dagli shock dell'ordine internazionale liberale da cui la Germania dipende, Berlino non è sembrata preoccuparsi di alcuna emergenza. Sembra invece che i tedeschi abbiano rinviato qualsiasi questione mentre il mondo intorno a loro cambiava radicalmente, la prepotenza sostituiva il diritto internazionale e un numero crescente di conflitti si concludeva con soluzioni militari.

CDU, CSU e SPD hanno tutte spinto per una politica di sicurezza e di difesa tedesca più ambiziosa nel precedente governo di coalizione, ma di questa iniziativa è rimasto ben poco. Le nuove idee su sicurezza e difesa sono ora diventate molto controverse all'interno dell'attuale coalizione. Invece di sfruttare l'opportunità di iniziare una discussione ragionevole sugli obiettivi in politica di sicurezza che la Germania dovrebbe perseguire alla luce delle nuove minacce da affrontare – o su quali impegni ha assunto e a quali risorse deve attingere – il governo è bloccato in discussioni che ricordano i primi anni Ottanta in quanto incentrate sulla “militarizzazione” del Paese e possibili “corse agli armamenti”. Di conseguenza, molte decisioni importanti, come quella di sostituire l'aereo da combattimento Tornado, sono in attesa di essere prese.

Le dimissioni di AKK peggioreranno ulteriormente la situazione. La disputa sulla leadership della CDU, che in realtà si tratta fondamentalmente di un disaccordo sulla direzione politica del partito, consumerà ancora più energie di prima. La grande coalizione continuerà a essere una sorta di governo custode in quanto mancano un’ampia visione e grandi ambizioni. Gli altri Stati membri dovrebbero ridimensionare le grandi speranze riposte nella presidenza tedesca del Consiglio dell'Unione Europea, nonostante una Germania concentrata su se stessa potrebbe essere preferibile a una in modalità elettorale in un periodo in cui l'UE negozia il prossimo Quadro Finanziario Pluriennale e le future relazioni con il Regno Unito.

Inoltre, AKK è una delle poche figure politiche che osa posizionarsi al di fuori dello status quo in politica estera. Anche se le sue proposte non sempre sono state convincenti o tempestive, come la sua idea di creare una zona di sicurezza internazionale sul confine turco-siriano, la ministra ha osato affrontare questioni che altri avevano lasciato nel vuoto. Inoltre, ha fatto tesoro delle ambizioni in politica estera iniziate dalla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2014 e ha ripetutamente sottolineato che i tedeschi non possono stare in disparte e che devono mantenere le loro promesse, come quella della spesa del 2% del PIL per la difesa.

Probabilmente AKK rimarrà in carica come ministro della difesa, almeno fino a quando la coalizione di governo rimarrà unita. Il lato positivo è che il ritiro di AKK dalla direzione del partito potrebbe permetterle di concentrarsi maggiormente sul suo ministero non essendo più impegnata in guerre per il territorio. Il Bundeswehr (le forze armate della Germania) può certamente trarne beneficio. Tuttavia, in considerazione del più ampio dibattito sulla politica estera, di sicurezza e di difesa della Germania – o della sua mancanza – le idee ambiziose di AKK non avranno troppo peso. Le proposte che avanzerà non verranno più da un futuro candidato alla carica di cancelliere, ma da un ex leader di partito spodestato. Ciò non aumenterà certamente la sua autorità nel gabinetto.

È ancora aperta la corsa per succederle alla guida della CDU. Le scelte più ovvie comprendono Armin Laschet, ministro-presidente del Nord Reno-Westfalia; il ministro federale della sanità Jens Spahn; e Friedrich Merz,  l’anti-Merkel in esilio arrivato secondo nella corsa per la direzione della CDU a dicembre 2018. Mentre Laschet in passato si è distinto dal corso della CDU su Russia e Siria, Merz e Spahn seguono maggiormente la linea delle tradizioni transatlantiche, europee e liberali di politica estera del partito.

Tuttavia, la vera domanda è: quale dei candidati sarebbe disposto a entrare in una coalizione con Verdi e quale risulterebbe più accettabile al partito? L’interrogativo sorge in quanto è urgente la necessità di una nuova coalizione che possa ringiovanire la politica estera tedesca.

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