La geopolitica industriale italiana: In bilico tra Europa e Cina

I leader italiani hanno sviluppato una pericolosa preoccupazione dell'essere visti in opposizione al resto dell'Europa – in particolare alla Germania – e strane idee su una futura stretta relazione con la Cina.

Il relativo successo della Germania nel contenere il coronavirus ha fatto sì che le attività commerciali non abbiano dovuto essere completamente interrotte dalle aziende tedesche – le quali ora stanno chiedendo ai loro fornitori italiani di riprendere ad operare. Tale richiesta ha imposto alle aziende e al governo italiani l'onere di navigare tra la concorrenza delle esigenze sanitarie e la necessità di riavviare l’economia. Ma a Roma i leader politici stanno mettendo a repentaglio la ripresa del Paese, dal momento che mancano di una visione strategica e si focalizzano più sulla collaborazione con la Cina che con il resto dell’Europa.

L’influente Federazione delle Industrie Tedesche insieme alle tre principali associazioni dell'industria meccanica tedesca hanno richiamato le imprese italiane alla ripresa dell’attività in modo coordinato e all’effettiva eliminazione del blocco produttivo. Le imprese italiane – soprattutto quelle del Nord Italia, nonché il cuore produttivo del Paese – stanno infatti chiedendo un supporto decisivo ed immediato per tornare alla normalità il prima possibile. Carlo Bonomi, nuovo presidente di Confindustria, la più potente organizzazione industriale italiana- ha sottolineato la necessità di tale ripresa, accusando il governo di lentezza, scarsa preparazione e mancata comprensione delle politiche industriali e dell'importanza delle catene globali del valore.

Questi attori hanno buone ragioni per essere preoccupati. Negli ultimi mesi, una nuova tendenza retorica si è affermata nella scena politica italiana: molti dibattiti pubblici e analisi descrivono la Cina come il contrappeso di un'Europa malvagia. I politici del Movimento delle Cinque Stelle e del partito di opposizione Lega promuovono una visione dei fatti secondo cui la Cina è un crescente partner economico per l'Italia. La Cina stessa è si è dedicata a sfruttare l'attuale crisi per proiettare oltre i propri confini un'immagine amichevole e per massimizzare le opportunità per la propria economia. Recenti sondaggi dimostrano quanto questa campagna sia stata un successo, dal momento che gli italiani considerano la Cina il loro “amico” più importante nel mondo mentre Germania e Francia sono in testa ai sondaggi come Paesi “nemici”.

La retorica antieuropeista dei populisti ha già avuto il suo impatto: il governo italiano ha rifiutato l’offerta da parte del Meccanismo Europeo di Stabilità di 39 miliardi di euro in sussidi UE che avrebbero potuto aiutare rapidamente l'Italia, sulla base di preoccupazioni espresse dai Cinque Stelle riguardo il possibile innescamento di un meccanismo di controllo simile alla Troika. Ora sono state avviate le trattative che ritarderanno sia l'arrivo dei fondi sia la ripresa dell'economia italiana. Il quadro è tuttavia più complesso. La retorica negativa ha raggiunto un tale livello che persino Luigi Di Maio del Movimento Cinque Stelle – il quale ricopre la carica di ministro degli Esteri e che in precedenza aveva sostenuto un graduale avvicinamento alla Cina – si è sentito recentemente costretto a fare una dichiarazione che rassicurasse riguardo il posizionamento dell'Italia: “abbiamo rafforzato le nostre relazioni con un partner commerciale strategico come la Cina, ma questo non cambierà le nostre alleanze geostrategiche”

È improbabile che il mercato cinese, per quanto grande, possa compensare il mercato comune e di alto valore dell'Europa. Progetti di grande portata come quelli che la Cina ha realizzato in tutto il mondo nell'ultimo decennio – acquistando infrastrutture e investendo direttamente in differenti paesi – difficilmente potranno eguagliare l’importanza del mercato unico. Se la Cina non è in grado di sostituire la Germania e il resto dell'Europa, gli interessi economici dell'Italia rimangono nel continente – soprattutto a breve termine, mentre resta impensabile una soluzione celere con Pechino. A causa della preoccupazione dei leader italiani di essere visti in opposizione al resto dell'Europa – in particolare della Germania – e delle loro strane idee riguardo una futura stretta relazione con la Cina, la riapertura delle catene di approvvigionamento tra Italia e Germania non è sembrata essere una priorità politica durante il lockdown.

Tutto ciò avviene in un momento potenzialmente pericoloso per l'Italia – le fratture nel sistema internazionale create dal decoupling USA-Cina potrebbero far cadere nel dimenticatoio l'Italia e la sua economia dipendente dalle esportazioni. L'interdipendenza economica è alle strette da diversi anni, soprattutto da quando il presidente americano Donald Trump ha lanciato la sua guerra commerciale con l’obiettivo di riportare, fra le altre cose, i lavori in fabbrica sul suolo americano. Inoltre, la crescente competizione per il primato geoeconomico e tecnologico tra Washington e Pechino ha portato i leader politici di tutto il mondo a considerare la capacità produttiva industriale come una risorsa strategica. L'attuale crisi ha ampliato le categorie industriali considerate strategiche dagli Stati, includendovi materie prime cruciali e input tecnologici fondamentali, come ad esempio i semiconduttori. A breve termine questa nuova realtà potrebbe portare gli Stati Uniti a cercare di esercitare un maggiore controllo su questi settori, limitando l'influenza, e potenzialmente l'accesso, della Cina a tali settori

In un mondo in cui il commercio dipende dagli equilibri geopolitici, la capacità di produrre beni strategici si è rivelata essenziale. Purtroppo, nelle ultime settimane, è diventato lampante quanto sia importante l’essere in grado di produrre apparecchiature mediche come maschere, ventilatori e reagenti necessari per i test. Nel futuro prossimo lo stesso potrebbe accadere alla catena di fornitura di materie prime o semilavorati di alto valore tecnologico. L'Unione Europea si è accorta di questi cambiamenti globali già prima della crisi, sottolineando la necessità di aumentare la produttività in Europa in alcuni settori specifici. Non è un caso che la politica industriale fosse già un cardine del pensiero della nuova Commissione Europea, la quale il 10 marzo ha pubblicato una strategia industriale incentrata su innovazione, concorrenza sleale e sulla necessità di ripristinare la capacità produttiva in Europa.

Il lockdown ha interrotto la produzione industriale in Italia e ha portato solamente ad un cauto riavvio dell'economia. In un momento in cui i relativi punti forza industriali dei Paesi sembrano destinati a subire grandi cambiamenti, la crisi del coronavirus minaccia di tagliare l'Italia fuori dalle filiere europee, in cui precisamente la sua industria ha un ruolo vitale. Per il momento i leader italiani possono accontentarsi di fare politica con il lavoro dei cittadini. Ma chi è a rischio di disoccupazione potrebbero esprimere disapprovazione a riguardo nelle prossime elezioni. Quei discorsi vaghi ma persistenti che accusano l'Europa e la Germania di tutti i mali potrebbero però far sì che gli elettori incolpino ancora una volta Bruxelles per i propri problemi. Per questo motivo, la necessità di riaprire l'economia italiana dovrebbe essere una questione prioritaria per i leader di tutta Europa. La realtà post coronavirus dimostra che, in un momento in cui la globalizzazione è sempre più vulnerabile, i Paesi europei sono legati non solo da valori politici comuni ma anche dal vigore della loro interdipendenza industriale.

Filippo Fasulo è Direttore del Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina (CeSIF) e Research Fellow presso ISPI.

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