I quattro stati membri del centro decisionale europeo

Come dimostra una nuova ricerca ECFR, il duo franco-tedesco ha 2 precursori in suo sostegno. Tuttavia, la spinta a livello europeo per una maggiore integrazione resta debole.

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Numerosi sono gli appelli per un’UE più forte e compatta, che sia in merito alla questione migratoria, agli scambi commerciali, alla sicurezza o all’assetto delle norme esistenti. Sembra che le forze europee si stiano preparando ad una più forte cooperazione in reazione ad uno scenario internazionale poco favorevole agli interessi e alle preferenze europee. Ma quanto è solida la risposta all’appello per un impegno più europeo e una maggiore integrazione di Angela Merkel, come risposta alla sfida dell’immigrazione, e da Emmanuel Macron, preoccupato per le disparità economiche e i rischi per la sicurezza? Quali paesi sembrano rispondere a questo appello e quali non?

I risultati della recente “EU28 Survey 2018” di ECFR contengono le risposte a tali domande. Parte della ricerca è stata fondata su un questionario inviato ad esponenti di governo, professionisti ed esperti in think-tank in tutta l’UE su quali fossero gli stati membri più impegnati in una maggiore integrazione.

Per chi crede nell’integrazione europea, i risultati sono scoraggianti: in tutto lo spettro dell’UE, i partecipanti ritengono che siano solo quattro gli stati membri ad essere chiaramente inclini ad un approccio più europeo: Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo realizzano quasi la metà del totale dei voti (47 percento nell’insieme, 15, 13, 10 e 9 percento rispettivamente). Spagna e Italia seguono con il 6 e il 5 percento rispettivamente. Dalla parte opposta, quattro paesi hanno totalizzato insieme meno dello 0,5 percento dei voti: Regno Unito, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Se si esaminano poi le percezioni dei diversi sottogruppi – come ad esempio i sei membri fondatori o il gruppo di Visegrad – emergono alcune sottili differenze. I sei stati fondatori, ad esempio, hanno una visione più positiva dell’Italia, assegnandole un 9 percento a fronte del 5 percento della media di tutti i paesi UE. Indubbiamente, le élite politiche del vecchio cuore dell’UE sono più propense degli stati annessi in seguito a riconoscere il ruolo centrale assunto in passato dall’Italia nel progetto di integrazione europea.

Un caso esemplare è quello dei Paesi Bassi. Sembra che i nuovi membri UE ritengano che il paese stia mantenendo la forte spinta integrazionista del passato, mentre i partner UE di lunga data sembrano aver notato il cambio di rotta dell’approccio dei Paesi Bassi nei confronti di una maggiore integrazione europea: i paesi del gruppo di Visegrad sono gli unici a valutare i Paesi Bassi con una percentuale sopra alla media (7 a fronte del 5 percento totale), al di sopra delle valutazioni degli altri stati membri o delle autovalutazioni degli stessi olandesi (4 percento).

Come svelano i risultati nel loro insieme, gli intervistati hanno una visione più positiva del proprio paese in quanto direttamente coinvolti nel processo politico e tendono dunque a percepire il proprio paese in maniera diversa. In particolare, i risultati rivelano la tendenza a considerare il proprio paese devoto ad una maggiore integrazione più di quanto non sia visto dagli altri. L’autovalutazione dei professionisti e la visione generale coincidono in soli nove stati membri. Ad esempio, ciò che la Germania pensa di sé stessa in merito alla questione dell’integrazione è alla pari con ciò che pensano gli altri stati su di essa.

Tra il gruppo dei nove stati, la Germania e la Francia sono unanimemente considerate a favore di un’integrazione più approfondita, e allo stesso modo si vedono gli stessi due paesi. I dati dimostrano come la maggior parte degli altri paesi di questo gruppo appaiono essere molto meno rivolti all’integrazione – e i loro partner sono d’accordo. Ad esempio, l’autovalutazione dell’Ungheria e la visione generale coincidono perfettamente – zero percento in entrambi i casi. Al contempo, un mero 5% di 3,761 voti espressi in questo sondaggio vanno al Regno Unito, 2% del quale proviene da intervistati inglesi. L’autovalutazione e le percezioni altrui coincidono anche per i paesi che mostrano un impegno molto debole nei confronti dell’integrazione europea. Tra questi vi sono la Danimarca, la Repubblica Ceca, la Croazia e la Polonia. L’euroscetticismo in questi luoghi non è un segreto: gli esperti qui conoscono in prima persona la riluttanza nazionale nei confronti di un’integrazione più profonda e allo stesso la riconoscono i loro partner europei.

Per i restanti stati membri, la ricerca rivela che tutti si giudicano devoti al progetto europeo – ma le controparti sono in disaccordo. Cipro è il primo paese a presentare una situazione in tal senso, con 12 punti di differenza tra la sua autovalutazione e la valutazione esterna. È interessante notare come l’Italia si consideri il suo impegno molto alto con un’autovalutazione de 15% (il livello di percentuale più alto per il quesito posto dalla ricerca), non meno di 10 punti percentuali in più rispetto alla media generale. Tuttavia, né gli intervistati francesi e quelli tedeschi, quanto i professionisti e gli esperti in altri paesi europei, condividono questa visione dell’Italia. Un gap altrettanto ampio emerge per la Spagna e il Portogallo, con un punteggio del 10 e del 9 percento rispettivamente tra quello che gli spagnoli e i portoghesi pensano di sé stessi e come sono visti dagli altri paesi. Anche qui, la l’auto percezione nazionale è più positivo della visione complessiva.

Altri stati membri con un gap considerevole sono gli stati membri più giovani. Per questi, i risultati del sondaggio sono più amari: tra gli stati membri più vecchi, i nuovi membri non sono ben valutati per la volontà di maggiore integrazione europea. L’Estonia segna il punteggio più alto ma complessivamente totalizza solo un 4 percento di sostegno tra gli intervistati. Ad ogni modo, i membri dei paesi baltici e i Balcani si considerano pro-integrazione.

La tendenza ad enfatizzare il proprio impegno nel progetto europeo corrisponde alle risposte ad un’altra domanda posta nella EU28Survey di ECFR: alla domanda su chi siano gli stati membri UE ad esercitare una maggiore influenza sulla politica UE in generale, solo la Germania e la Francia hanno raggiunto la doppia cifra, con il 21 e il 19 percento rispettivamente. I Paesi Bassi ricevono un 9 percento, posizionandosi al terzo posto, mentre il Regno Unito e l’Italia, con l’8 e il 7 percento, si lasciano dietro la Polonia con il 6 percento. Ciò nonostante, mentre l’autovalutazione degli intervistati di Francia e Polonia corrisponde con il giudizio complessivo, gli intervistati tedeschi posizionano il proprio paese tra i più influenti meno spesso di quanto venga fatto dagli altri stati membri.

D’altra parte, 10 stati membri su 28 scelgono i propri paesi significativamente molto più spesso di quanto non lo facciano il totale degli intervistati, con una differenza di circa 4 punti percentuali o poco più al di sopra della media. A guidare questa tendenza è l’Irlanda, che ritiene di essere più influente nella politica UE di quanto non lo ritengano i suoi pari: l’opinione degli intervistati sulla questione fa posizionare il paese con 8 punti percentuali al di sopra della visione generale che si ha dell’Irlanda. Questo potrebbe essere un risultato del rilievo della questione dei confini irlandesi nelle negoziazioni per la Brexit. Altre capitali europee che registrano un certo grado di eccessiva fiducia sulla propria influenza nella politica UE sono L’Aia, Madrid e Stoccolma, con una differenza di sei punti percentuali al di sopra della visione generale.

In sintesi, l’umore è meglio della situazione attuale. Molti paesi guardano a sé stessi come aperti ad un’integrazione più profonda ma considerano che gli altri non lo siano, ad eccezione dei quattro ‘core countries’ che sono visti integrazionisti da tutti: Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo. Molti inoltre ritengono che il loro paese eserciti più influenza sulla politica UE più di quanto non lo facciano le loro controparti, che al contrario vedono la Francia e la Germania come i membri di gran lunga più integrazionisti. Alla luce di questi dati, non sorprende che il duo franco-tedesco sia al comando della politica di integrazione, nonostante il duo da solo sia difficilmente un mezzo sufficiente a muovere verso una maggiore integrazione.

Nell’UE odierna, non basta godere del supporto di Belgio e Lussemburgo per dar vita ad un’Europa più unita. La formazione di una coalizione potrà avvenire cercando di integrare quegli stati membri che non hanno un autentico entusiasmo nell’approfondire l’integrazione. Tuttavia, questa nuova ricerca rivela che molti di questi paesi si prendano in alta considerazione quando si tratta della loro influenza nel processo politico dell’UE. Ovviamente, le opinioni su cosa significhi più integrazione europea differiscono tra l’est e l’ovest. Senza una comprensione comune della direzione da intraprendere per una maggiore integrazione, l’apparente volontà … Similmente, sopravvalutare la propria influenza sul processo politico decisionale dell’UE potrebbe ritorcersi contro agli stessi paesi quando messi alla prova su questioni per loro importanti. Questi paesi non rischiano forse un brusco atterraggio qualora si scopriranno incapaci di esercitare un’influenza sul corso futuro dell’Europa che si erano preposti di veder realizzato? È auspicabile che i sostenitori di una maggiore integrazione studino attentamente questi risultati; potrebbero aver bisogno di occuparsi delle percezioni del potere e dell’influenza tanto quanto della stessa realtà delle problematiche che emergono nel tentativo di rafforzare l’integrazione.

Questo articolo è parte di Rethink: Europe project, un’iniziativa ECFR, sostenuta da Siftung Mercator, che offre spazi per riflettere e discutere sulle sfide strategiche per l’Europa. Per maggiori informazioni in merito alla EU28Survey e EU Coalition Explorer, lo strumento che presenta i risultati della ricerca degli esperti ECFR, si prega è possibile consultare il sito www.ecfr.eu/eucoalitionexplorer.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.