Esiste un futuro digitale per l’Europa?

L’economia digitale sembra ormai prerogativa di Stati Uniti e Cina, ma l'Europa non può permettersi di rimanere indietro

Esercitare il potere nel mondo digitale e di internet non significa versare semplicemente del vino vecchio in una bottiglia nuova. Un ambiente per sua natura internazionale, commerciale e pervasivo nel settore pubblico e privato non risponde facilmente ai meccanismi nazionali o multilaterali di policy. Di fronte all’inapplicabilità dei metodi tradizionali di governo nei confronti del mondo digitale, gli stati, con successi altalenanti, si affannano per cercare modi per comprendere e controllare questa realtà.

Eppure, a rendere imperativo tale successo in questo campo, sono proprio la portata dell’economia digitale, le profonde implicazioni sulla sicurezza del cyberspazio e l’opportunità che queste presentano per gli attori statali e non-statali nel contribuire all’agenda internazionale. Sfortunatamente, in tutte e tre queste aree l’Unione europea è rimasta indietro. Basta dare un’occhiata per notare come l’economia digitale sia ormai prerogativa degli Stati Uniti e Cina, che si tratti di internet (Google, Facebook e Amazon), telefonia (Samsung, Apple) o compagnie di telecomunicazioni (NTT e AT&T). Che ciò sia dovuto alla natura distorta del mercato digitale (un’eliminazione monopolistica della competizione) oppure all’eccessiva regolamentazione, si tratta di un mercato in cui l’Europa ha un deficit geo-economico.

Sul piano della sicurezza digitale, assistiamo a una dinamica di crescente militarizzazione del cyberspazio, causata dalla militarizzazione di un gruppo ristretto di stati. Circa una dozzina di paesi possiedono avanzate capacità di cyberwarfare e si ritiene che un gruppo che va dai 60 ai 100 stati stia sviluppando tali capacità. La cultura dell’interconnessione, favorita da internet, solleva questioni relative alla sicurezza, esponendo infrastrutture e informazioni sensibili a minacce asimmetriche, asimmetriche in quanto l’offesa è più semplice e meno costosa della difesa (che a sua volta alimenta il processo di militarizzazione). Ad esempio, nel 2013 il governo finlandese ha scoperto che un attacco informatico sofisticato ha sottratto dalle reti diplomatiche informazioni riservate per un periodo dai tre ai quattro anni. Eppure, di fronte a tali pericoli digitali, l’UE manca di fondamentale coordinazione, principalmente a causa del rifiuto degli stati membri a condividere intelligence. Nel caso della Finlandia, il Ministero degli Affari Esteri ha nascosto la violazione della rete informatica finché una fuga di notizie ai media non li ha costretti ad annunciarla pubblicamente.

Altri attori non sono stati altrettanto lenti nel rispondere alla rivoluzione digitale. Alcuni stati, soprattutto Russia e Cina, spingono sempre di più per la sovranità di internet. Allarmati dall’ideologia anarchica della libertà d’informazione che permea internet, questi paesi sono alla ricerca di un modello di governance stato-centrico. Non a caso, nessuno dei due stati parla di ‘cybersecurity’ o ‘cyberweapon’, ma piuttosto di ‘sicurezza dell’informazione” e “armi dell’informazione’. Di fronte a questo tipo di strategie l’Europa si è dimostrata inadeguata. Un approccio unitario è ostacolato non solo dalla già citata mancanza di volontà degli Stati membri, ma anche da un livello estremamente eterogeneo di digitalizzazione dei vari paesi. In questo campo spiccano i paesi scandinavi e l’Estonia (soprannominata 'E-stonia'), il cui sviluppo digitale dovrebbe essere preso ad esempio dagli altri stati membri, se l'Europa spera davvero di mantenere internet un libero mercato delle idee.

Con la sua Agenda Digitale, la Commissione europea sta andando nella giusta direzione. Questa iniziativa spera di colmare le lacune europee, investendo nelle strutture della tecnologia dell’informazione, creando un mercato digitale unico e stimolando, tra le altre cose, l’utilizzo delle tecnologie digitali. Senza dubbio questo è un passo nella direzione giusta rispetto alla precedente miopia dell’élite politica europea. Tuttavia, è essenziale che l’Europa adotti strumenti non convenzionali in questo spazio assolutamente non convenzionale. Un approccio top-down, guidato dai governi e trainato dalle policy non basterà. C’è bisogno di una risposta condivisa, caratterizzata dal dialogo costante tra stati, privati e attori pubblici, che rifletta l’offuscamento di internet delle frontiere e dei confini tradizionali. Questo modello, attualmente guidato in modo pionieristico dall’Internet Governance Forum, deve essere replicato al livello europeo, con la partecipazione attiva dei governi informati.

L'Europa deve mettere in comune le proprie risorse per uno sforzo rapido e unanime. Questo perché la storia dimostra come le rivoluzioni tecnologiche abbiano la capacità di creare o distruggere le grandi potenze. I mongoli hanno pagato il prezzo dell'invenzione della polvere da sparo, i cinesi sono rimasti indietro dopo la prima Rivoluzione industriale e gli inglesi non sono riusciti a tenere il passo con la seconda. La “terza rivoluzione industriale” – la rivoluzione digitale – è già in corso e l'Europa non può permettersi di lasciarsela sfuggire.

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