‘Cosa può fare l’Italia per evitare la guerra civile in Libia’, Mattia Toaldo, Limes

Mattia Toaldo, Policy Fellow del Programma MENA di ECFR, analizza, su Limes, il ruolo dell'Italia nella risoluzione della crisi libica.

Mattia Toaldo, Limes, 30 settembre 2014

Due governi rivali si contendono il paese africano. I nostri partner europei, Francia in testa, pensano a un intervento militare contro i “terroristi”. Roma può salvare il dialogo nazionale, ma deve agire in fretta.

C’è una guerra regionale oggi in Medio Orienteche si estende dalla Libia fino alla Mesopotamia.

É una guerra nella quale europei e americani hanno deciso di intervenirein nome della lotta al terrorismo. Gli attori regionali hanno capito e si sono adeguati: é più facile oggi coinvolgere gli occidentali nelle proprie battaglie se si nomina l’Is (Stato Islamico, già Isis) e si usa la parola “terroristi” per indicare i propri nemici interni.

Lo fa da tanti anni Assad in Siria, lo fa il generale al-Sisi in Egittoe lo ha fatto ieri all’Onu Netanyahu parlando di Hamas e Iran.

Non dovrebbe stupirci che venga fatto anche con la Libiache ha una lunga storia di presenza di gruppi armati con ramificazioni internazionali. Relativamente lontano dai riflettori, si sta preparando il terreno perché il nostro vicino nordafricano diventi il nuovo scenario di questo coinvolgimento occidentale nella guerra per il controllo del Medio Oriente.

Da maggio in Libia si confrontano due coalizioni armate, “Dignità” e “Alba”. Dignità raggruppa pezzi del vecchio esercito che abbandonarono Gheddafi nel 2011, i “federalisti” della Cirenaica e le milizie di Zintan che controllavano Tripoli fino a qualche settimana fa. Alba è centrata sulle milizie di Misurata che ora controllano la capitale ma include anche milizie islamiste. Ha una convergenza di interessi con Ansar al Sharia, il gruppo accusato di aver ucciso l’ambasciatore americano Christopher Stevens nel 2012 e che ora controlla vaste zone della seconda città del paese, Bengasi.

Da circa due mesi queste due coalizioni hanno creato due governi alternativi:quello di al-Thinni che ha sede tra Tobruk e Baida nell’estremo est del paese e che è riconosciuto internazionalmente perché eletto dal parlamento uscito dalle urne del 25 giugno; e il governo al-Hasi, con sede a Tripoli, che è stato eletto dal vecchio parlamento (il Congresso Generale Nazionale) riconvocato all’uopo dalle forze che hanno conquistato la capitale quest’estate. Circa 70-80 parlamentari – su 191 – di Tobruk si rifiutano di prendere parte alle riunioni dell’assemblea che si tengono in una città al centro della piccola area sotto il controllo delle forze di Dignità e vengono perciò definiti i “boicottatori”.

Militarmente, il governo al-Thinni comanda sull’esercito regolarenel quale sono confluite le forze che facevano parte di Dignità, mentre al Hasi si appoggia sulla coalizione Alba. Il nuovo capo di Stato maggiore nominato a Tobruk ha pensato bene di svolgere le sue prime visite all’estero in Egitto e negli Emirati Arabi Uniti, i due paesi che sono stati accusati da anonimi funzionari americani citati dal New York Times di aver bombardato le postazioni di Alba a fine agosto. Certo non una gran prova di neutralità.

Il governo alThinni aveva abbandonato Tripoli precipitosamentedurante i combattimenti di quest’estate, lasciando le ambasciate straniere a osservare la versione libica dell’8 settembre. Quasi tutti avevano deciso di allontanarsi dalla capitale e una parte dell’ambasciata americana è stata poi invasa dalle milizie che hanno conquistato Tripoli, con relativo video del bagno in piscina caricato su YouTube.

Gli unici tre paesi dell'Unione Europea a mantenere aperta la loro sede diplomaticasono stati Malta, l’Ungheria e l’Italia. Per il nostro paese l’ambasciatore Buccino ha svolto una delicata operazione di mediazione tra le parti, facilitando le trattative condotte dall’inviato Speciale dell’Onu, lo spagnolo Bernardino León. Accanto al sostegno al negoziato condotto dalle Nazioni Unite, l’Italia ha cercato di non farsi tirare per la giacchetta da nessuna delle coalizioni. È stata esclusa come impraticabile e inopportuna l’opzione militare, l’ultima volta con un’intervista del viceministro Lapo Pistelli proprio per Limes.

Il ministro Mogherini ha detto chiaramente che il dialogo nazionalesi fa anche con chi ha perso le elezioni, cosa che in Libia molti hanno giustamente tradotto come “Fratellanza Musulmana e altre forze che sostengono Alba”. Insomma, una posizione attiva ma non schierata.

Nel frattempo gli altri europei, pur confinati chi a Tunisi chi a Malta,non sono rimasti a guardare. La Spagna ha organizzato una conferenza dei paesi del Mediterraneo Occidentale (il cosiddetto 5+5) per sostenere la transizione libica. La Gran Bretagna ha un inviato speciale di peso come l’ex capo di Gabinetto di Blair Jonathan Powell e non è escluso che organizzi anch’essa una conferenza sulla Libia. I francesi sono stati i più attivi, provando ad accendere le luci sulla minaccia che la Libia diventi un “hub per il terrorismo” e chiedendo un intervento internazionale, cosa che sulla stampa di Parigi è stata letta come una ripetizione dell’intervento del 2011 con finalità di guerra al terrorismo. Anonimi diplomatici francesi si sono però affrettati a chiarire che si tratterebbe di un’operazione molto più limitata, volta ad aggredire alcuni gruppi chiaramente terroristici come Ansar al Sharia e da svolgersi solo nel momento in cui ci sarà un governo libico unitario e affidabile.

I nodi stanno dunque venendo al pettine in Libia e presto l’Italiasarà chiamata a prendere una decisione politica che coinvolga non tanto la nostra presenza in Libia quanto le posizioni ufficiali – di Palazzo Chigi tanto quanto della Farnesina. Finora le diplomazie sono riuscite a tenere insieme l’approccio francese più propenso all’intervento militare e quello italiano (ma anche tedesco) che vuole un dialogo nazionale vero.

Nell’ultima settimana ci sono stati due appuntamenti molto importantiin questo senso. Ieri Bernardino León e l’Onu sono riusciti a riunire una trentina di parlamentari, sia quelli che stanno partecipando alle riunioni a Tobruk sia i “boicottatori”. L’obiettivo è trovare una sede neutra dove possano rientrare anche questi ultimi e stabilire delle regole il più possibile consensuali per prendere le decisioni importanti.

La strada è in salita perché le potenze regionali sostengono chi Alba(soprattutto turchi e qatarini), chi il governo di Tobruk come gli egiziani e gli emirati. In più, parlare di intervento militare esterno certo non facilita la mediazione: più di un soggetto a Tobruk pensa che non si debba dialogare con chi ha conquistato Tripoli con le armi e che si possa contare sulla forza aerea araba e, perché no?, europea per sconfiggere quelli che vengono definiti sempre più spesso come la versione libica dell’Isis e di al Qaida – si veda a tale scopo il discorso all’Assemblea Generale dell’Onu del presidente del parlamento di Tobruk.

Proprio al Palazzo di Vetro, in una riunione cui erano presenti anche i rappresentanti italiani,è stata presa una decisione che fa pendere la bilancia verso l’intervento esterno. Al punto 8 del riassunto della riunione si legge infatti: “I partecipanti all'incontro riconoscono il ruolo guida del governo della Libia [Tobruk, riconosciuto dall'Onu] nel confrontare la crescente minaccia dei gruppi terroristici e si dichiarano pronti a sostenere il governo in questo sforzo.” Ai suddetti partecipanti non deve essere sfuggito al momento della decisione cosa intende il governo di Tobruk per “terroristi”.

A chi vorrà schierarsi nella prossima guerra civile libica non resta che augurare buona fortuna.Per chi invece vuole evitare quest’eventualità ci sono alternative. Già nelle dichiarazioni ufficiali bisogna dire che la legittimità elettorale va di pari passo con la capacità di includere tutti gli eletti e che quindi è fondamentale trovare una sede del parlamento neutra, così come nell’agenda dei colloqui guidati da León. Va spiegato che la legittimità non è conquistata una volta e per sempre, anche perché gli interessi occidentali nella lotta ai gruppi terroristici (e per carità ce ne sono in Libia, soprattutto tra Bengasi e Derna) e nella fine del traffico di esseri umani hanno bisogno di un governo vero per essere realizzati. Ciò non è possibile se il governo di Tobruk, per sua stessa ammissione, non controlla né i ministeri né molti dei confini.

Le due vere sfide in Libia sono ridurre gli spazi ingovernatiche generano traffici illeciti e violenza e portare il paese fuori dalla polarizzazione internazionale. Se allo scopo servirà pestare i piedi di qualche collega europeo mentre si costruiscono alleanze con altri, allora è il caso che il presidente del Consiglio si muova in fretta. A meno di non volere a 350 km da Lampedusa uno Stato fallito con una guerra civile e un intervento aereo europeo a sostegno di una delle parti in conflitto.

Forse dopo la nomina della Mogherini a Bruxelles,sarà questa la prossima vera sfida di politica estera per Renzi.

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