Come cambiano i flussi migratori

Dietro I flussi migratori dal Medio Oriente e dall’Africa verso l’Europa ci sono diverse cause, sebbene in questa parte del mondo i flussi siano imputabili principalmente ai conflitti

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Dietro I flussi migratori dal Medio Oriente e dall’Africa verso l’Europa ci sono diverse cause, sebbene in questa parte del mondo i flussi siano imputabili principalmente ai conflitti. L’ottantacinque per cento di coloro che sono arrivati in Europa attraverso il Mediterraneo dall’1 gennaio provengono da tre paesi: Siria, Afghanistan e Iraq, i conflitti più mortali che circondano l'Europa.

I flussi dalla regione verso l’Europa passano attraverso due vie principali: la Turchia e la Libia. La rotta dei Balcani dalla Turchia alla Germania inizialmente ad uso quasi esclusivo dei siriani, sebben il suo utilizzo stia aumentando anche da parte di iracheni e afghani, e da altre nazionalità meno identificabili come rifugiati, quali ad esempio i pakistani. Questa rotta è oggi di gran lunga la più popolare, con più di 100.000 arrivi dall’inizio dell’anno.

Anarchia e violenza in Libia hanno rafforzato il ruolo del paese come porta per l’Europa per migranti e rifugiati dalle due principali aree africane. Da una parte il Corno d’Africa: i migranti provenienti da quella regione sono tradizionalmente per lo più eritrei in fuga da una delle dittature più dure al mondo; e somali in fuga dalla violenza diffusa e dall’anarchia. L’impatto della guerra in Yemen sul flusso di somali, soliti al passaggio dello stretto di Aden per cercare una via di fuga ma ora rallentati da un’altra guerra, deve ancora essere misurato.

L’Africa occidentale è l’altra principale origine dei flussi attraverso la Libia. I numeri dicono che dal primo gennaio, Nigeria, Gambia, Guinea e Senegal sono i paesi di origine del 49% di quelli che arrivano in Italia. Questo gruppo annovera un mix indistinto di rifugiati, migranti economici e “survival migrants” in fuga da violenze diffuse e degrado ambientale. Per quest’ultima categoria, l’Europa non ha nessun obbligo di accoglienza secondo il diritto internazionale, sebbene spesso presentino la stessa urgenza di coloro che scappano da guerre o persecuzioni. Il numero di nigeriani è in costante crescita, tuttavia è difficile dire se ciò rientri in schemi di lungo periodo della migrazione economica verso l’Europa, o sia il risultato della violenza e dell’attività del gruppo terrorista islamico Boko Haram.

Una parte significativa di questi flussi migratori dall’Africa occidentale rimane all’interno della Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale (CEDEAO), con persone che fanno uso della zona di esenzione dal visto per spostarsi nei paesi vicini. Sempre più spesso, questi flussi sono reindirizzati verso l’Europa a causa delle condizioni di sicurezza ed economiche in deterioramento, nonché delle dinamiche innescate dai trafficanti di persone, che hanno interesse a favorire viaggi più lunghi e più pericolosi attraverso confini chiusi.  Complessivamente, le condizioni economiche e demografiche hanno un impatto limitato sui recenti intensi flussi.

La grande maggioranza di quelli che arrivano in Europa attraverso il Mediterraneo scappano da conflitti nel Levante e in Afghanistan, passando per Grecia e Turchia.

Eppure nulla è certo quando si analizzano tali flussi. La loro intensità e direzione può cambiare esponenzialmente e molto rapidamente: solo un anno fa la maggior parte dei siriani andava in Europa attraverso la Libia. Nel giro di pochi mesi essi hanno cambiato percorso e hanno iniziato a viaggiare in numero sempre maggiore attraverso Turchia e Grecia.

 

Come possono cambiare i flussi migratori

 

Numerosi fattori possono influenzare l’intensità e la direzione di questi flussi. Anzitutto, i rifugiati siriani sono una componente molto importante della crisi dei rifugiati attuale, e probabilmente assisteremmo ad un’entità della crisi diversa se non ci fosse la guerra. Un’ulteriore escalation del conflitto potrebbe rendere l’esodo dei siriani ancora maggiore. Dall’altro lato, la maggior parte dei paesi sulla rotta balcanica (a partire dall’Austria per finire con la Macedonia) hanno chiuso le porte a rifugiati e migranti, sebbene in molti casi i siriani possano ancora passare.

L’abbandono della politica tedesca della “porta aperta” potrebbe provocare ulteriori imprevedibili cambiamenti di tale rotta: dato il peggioramento della situazione in Siria, i flussi difficilmente si fermerebbero, piuttosto verrebbero deviati nei Balcani o più lontano verso il Nord Africa.

L’evolvere della situazione in Libia è un altro fattore che potrebbe cambiare l’intensità e la direzione dei flussi.

Per i siriani, diverrebbe difficile usare questa via visto che molti degli Stati confinanti con la Libia ora richiedono un visto. Inoltre, un’escalation del conflitto in Libia o un collasso dell’economia nazionale potrebbe favorire i trafficanti, mentre spingerebbe fuori dalla Libia i numerosi migranti economici stranieri che già vi risiedono.

Anche cambiamenti nel paese di origine possono avere un impatto, incrementando o diminuendo le cause della migrazione – particolarmente dall’Africa occidentale. I flussi potrebbero anche essere dirottati fuori dall’Europa, destabilizzando ulteriormente alcuni paesi africani. Per esempio, la grande maggioranza di coloro che scappano dalla guerra in Libia dal 2011 hanno trovato rifugio in Tunisia ed Egitto.

 

 

Le sfide politiche per l’Europa

 

Dallo scoppio della crisi un anno fa, l’Europa ha dovuto mantenere una doppia strategia nella sua risposta.

Da una parte ha rafforzato il “fronte interno” – potenziando i controlli alle frontiere, identificando i rifugiati e fornendo documenti e sistemazione per chi ne necessitava. Dall’altra, lo scoppio della crisi dei rifugiati nella primavera 2015 ha portato la questione alla ribalta della politica estera dell’UE, coinvolgendo alcuni dei più importanti Stati membri come Germania, Regno Unito e Italia.

Probabilmente, i mesi a venire vedranno un rafforzamento dei trend in atto verso la chiusura delle frontiere, la costruzione di recinzioni o l'introduzione di tetti sul numero di rifugiati che alcuni paesi accetteranno. Per il momento, la politica dell’UE sembra essere focalizzata sul mettere in pratica quanto concordato nei mesi scorsi, piuttosto che sulla ricerca di nuove soluzioni.

Inoltre, i policymaker meno inclini ad attuare politiche restrittive (una minoranza sempre più ridotta) dovrebbero guardare a questioni più ampie. Queste includono la negoziazione con la Turchia di un accordo di riammissione (o rimpatrio forzato) più efficiente per coloro che arrivano illegalmente in Grecia in cambio di un piano per il ricollocamento dei rifugiati che dalla Turchia arrivano in Europa.  Tuttavia, sembra esserci ancora poca propensione per questo tipo di decisioni.

Infine, sull’immigrazione dall’Africa, l’Europa dovrebbe mettere in pratica la propria parte dell’accordo raggiunto nel novembre 2015 durante il summit de La Valletta:  la creazione di un fondo fiduciario per promuovere lo sviluppo economico, incoraggiare il ritorno volontario verso i paesi d’origine, ridurre le commissioni sulle rimesse inviate dai migranti, e promuovere progetti per l'occupazione giovanile e il micro credito nei paesi d'origine.

 

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